“Poss” era il pane
del giorno prima
ma è anche
un santo comasco

Talvolta scade a pettegolezzo acido, denigratorio il chiacchierare degli amici del “canton di ball”, all’angolo della piazza principale, dove amano radunarsi gli anziani, per contarla su e tirare mezzogiorno. L’altra mattina l’attenzione della congrega dei pensionati è stata catturata dal transito sul marciapiede opposto di un’avvenente ragazza che camminava esibendo innocentemente tutta la sua prepotente e giovane bellezza. Nel gruppo però c’era, come qualche volta capita, anche una donna, la “sciura Lisetta”, alla quale piace scambiare qualche chiacchiera, lì “al canton”. Reagendo, forse presa da qualche pizzico d’invidia, alle energiche attenzioni che gli uomini avevano rivolto alla ragazza, la “sciura Lisetta” non è riuscita a frenare la sua maldicenza: «Quela lì la sarà anca bèla, ma l’è un pan poss, mi la cugnusi ben».

La signora Lisetta ha voluto così informare gli uomini che tutto il loro interesse era un po’ sprecato: quella ragazza sarà stata bella ma sapeva di poco, proprio come il pane raffermo. Secondo la “sciura Lisetta” quella ragazza se non proprio del tutto insensibile, era una insipida, refrattaria.

“Poss” dunque è nel nostro dialetto per indicare il pane raffermo ma anche cose che ormai hanno perso (o non hanno mai posseduto) qualche cosa di brioso, di spumeggiante, di brillante di spiritoso. Da dove viene? Come tanti altri termini del dialetto scende direttamente dal latino. Pietro Madini, nei suoi libri di un secolo fa che ci raccontano la vita a Roma al tempo dell’impero, informa che i patrizi romani usavano invitare i popolani ad abbuffarsi con i cibi che erano avanzati dai pranzi abbondanti del giorno prima. Questa pratica si chiamava “repotia”. Dei dizionari latini il termine vuol dire “ampolla” ma anche “banchetto del giorno successivo”. Il dialetto l’ha modificata in “reciocch”, che vorrebbe appunto dire “godere degli avanzi”. Da storpiatura a distorsione: da “repotia”, è pure facile arrivare a “reposs”, e quindi a “poss”.

A proposito di “poss” ci sarebbe anche un santo con questo nome, un “Sant Poss” la cui tradizione è dalle parti di Como. Di “santo Poss” mi ha raccontato l’amico, Felice Mauri di Erba, un bravo storico locale, il quale si occupa anche di santi, tra cui quelli quasi sconosciuti. Felice, tutto contento di averlo interpellato, è stato subito come un fiume in piena. A Grandate, paese alle porte di Como, c’è veramente un “Sant Poss”. La sua storia è davvero importante e singolare, legata nientemeno che a Federico Barbarossa e alle reliquie dei Re Magi. Mauri ha raccontato che a metà del quarto secolo d.C. Sant’Eustorgio vescovo di Milano, ricevette in dono dall’imperatore Costante le reliquie attribuite ai Santi Magi. Eustorgio, tornato nella sede diocesana milanese, decise di custodirle nella basilica che prese il suo nome e situata vicino all’attuale Porta Ticinese. Lì rimasero fino a quando nel 1164 Rainaldo di Dassett, arcivescovo di Colonia chiese e ottenne da Federico Barbarossa di trafugare i “Santi Magi” da Sant’Eustorgio e trasportarli a Colonia. L’Imperatore che doveva ripagare dei favori avuti dall’arcivescovo, accolse la sua supplica trafugò, con un colpo di mano in spregio ai milanesi, le sacre reliquie che partirono per il lungo viaggio verso la Germania. Il corteo fece la sua prima sosta appena entrato nel territorio della ghibellina Como per un riposo degli uomini. Ecco quindi che questa sosta fu chiamata, come racconta Mauri, “Sanctorum Pausa”. Il dialetto comasco deragliò un po’, arrivando a “Sant Poss”, che ancora si celebra. A Grandate vi è ancora una strada che si chiama “Via Sant Poss”.

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