Quanto ci manca Jannacci?
Il ricordo di Isabella Tosca

La cantante questa sera all’Officina di via Giulini a Como per un ricordo dell’autore “matto” - Un progetto nato da una passione personale: non solo brani ma un racconto che li lega

Una dedica a Enzo Jannacci da parte di un duo d’eccezione, di scena stasera, venerdì 4 ottobre, alle 21 all’Officina della Musica di via Giulini 14B, con le più belle canzoni del grande artista milanese rilette in chiave jazz. È un progetto nato nove anni fa, quindi prima della scomparsa dell’autore, su impulso della cantante Isabella Tosca.

La sua è una delle voci più belle emerse dal comasco, allieva di Tiziana Ghiglioni e di Giuseppe Cattaneo del Teatro Alla Scala di Milano, si è distinta al microfono di numerose formazioni del nostro territorio e dell’area milanese, soprattutto con la formazione di bossa nova O’Pato con cui ha realizzato due album.

Questo progetto con il chitarrista Claudio Tuma è nato sull’onda di un’emozione personale: “L’Armando”, storica ballata scritta da Enzo su testo di Dario Fo, era il 45 giri più riprodotto dal giradischi a valigia che la cantante possedeva da piccola. Da lì una scelta di canzoni della lunga carriera di Jannacci, musicista che ha sempre avuto il jazz nel sangue, fin dagli esordi, e che in questo caso viene interpretato ponendo in evidenza quell’anima. Non è la prima volta che voci femminili si cimentano con quel repertorio: ci sono dischi passati alla storia come “Mina quasi Jannacci” o “La rossa” di Milva e, più recentemente, “Il saltimbanco e la luna” di Susanna Parigi. In questo caso non ci sono solo i brani, ma anche un racconto che li lega, trasportando il pubblico nella Milano di Jannacci e dei suoi personaggi. E il vuoto lasciato da Enzo è davvero incolmabile.

È stato un artista completo, che ha spiazzato tutto fin dalle origini, condivise con l’amico Giorgio Gaber, quando si facevano chiamare I Due Corsari e potevano permettersi di cantare “Sei ricca ma sei racchia, ma guardati allo specchio: non vedi che sei vecchia?” prima di imbastire un’improbabile carriera solistica (improbabile perché dove si può andare cantando “Il cane coi capelli” o “L’ombrello di mio fratello”?), suscitando la curiosità di un mondo meneghino dove si incrociavano Giorgio Strehler e Dario Fo, Gianni Brera e Luciano Bianciardi, i Gufi e Celentano. Un decennio dove si è fatto conoscere ostentando una voce assolutamente maleducata, ma irresistibile, aggiornando la tradizione del barbapedana quando imbracciava la chitarra, per rivelarsi raffinato jazzista appena si sedeva al pianoforte.

Medico chirurgo, cardiologo che diceva che i suoi pazienti non si fidavano quando venivano condotti al suo cospetto («Ma mi avete portato in televisione»”) passava le giornate in corsia e le serate nei cabaret dove cresceva un’intera generazione di talenti, da Cochi e Renato a Massimo Boldi, da Teo Teocoli a Lino Toffolo, tutti artisti che gli devono qualcosa.

Non sono solo le sue canzoni a essere entrate nella memoria collettiva, ma ci sono alcune espressioni che ormai si utilizzano senza pensare a lui: impossibile ascoltare qualcuno dire “Vengo anch’io” senza immaginare, immediatamente, un “No, tu no”, mentre “Quelli che...” si usa spesso nei titoli dei giornali.. Possibilità di cenare con servizio al tavolo dalle 19.30 alle 21, servizio bar sempre disponibile. Ingresso a 10 euro per i soci, a 14 euro per i non soci.

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