Quasimodo e la poetessa
Breve incontro di anime

Una giovane dottoressa comasca lo intervistò nel 1950 per la rivista della Fuci. Il poeta ne rimase colpito. In Natalia Prada nacque una vocazione letteraria. Martedì, a Como, la presentazione delle liriche dell'artista comasca

Viene presentata a Como, martedì alle 20.30 in biblioteca, la raccolta di poesie «Ombre sulle meridiane», di Natalia Veronesi Prada (Book, 84 pag., 12,50 euro). Ne firma l’introduzione Vincenzo Guarracino, che commenta le due lettere inedite scritte dal poeta alla dottoressa comasca, nel 1950, che «La Provincia» presenta oggi, in esclusiva, ai suoi lettori.

di Vincenzo Guarracino

«Gentile Dottoressa, La ringrazio della Sua lettera, così rara oggi che la furia e l’orgoglio e la vanità ci giudicano ogni giorno dentro di noi. E i poeti, amati o odiati, non si sottraggono a questo esame crudele». Comincia così il breve carteggio, intercorso tra il poeta Salvatore Quasimodo e una giovane comasca, neolaureata in medicina e appassionata cultrice di letteratura e di poesia.
Un carteggio che inizia nell’aprile del ’50 con una risposta e un invito e si conclude qualche mese più tardi, in ottobre, con un affettuoso ringraziamento. "L’espace d’un matin", lo spazio fugace di un mattino, per dirla con un verso del poeta francese de Malherbe, ma quanto ricco e fecondo, a giudicare dagli effetti nell’animo della "gentile" e "carissima" destinataria, in seguito autrice di tre raccolte poetiche ("Giorni a piene mani", 2002, "I grandi fiumi verdi e le colline", 2004, e "Ombre sulle meridiane", 2008), oltre che medico per un’intera vita e dedita a un fattivo e discreto volontariato! Ho citato non a caso il verso di François de Malherbe perché lo si ritrova ora, debitamente virgolettato, poche righe prima del verso che dà il nome all’intera silloge dalle non casuali risonanze quasimodiane, all’interno di un testo poetico della Nostra, "Effimero e presente" contenuto nell’ultima raccolta testé edita da Book Editore.
Il personaggio in questione è Natalia Prada, ora Veronesi, all’epoca dello scambio epistolare giovanissima "fucina", fervente collaboratrice del quindicinale "Ricerca", organo nazionale della Fuci, diretto dal giovanissimo Leopoldo Elia e su cui scrivono firme prestigiose del mondo cattolico (Vittorio Bachelet, Aldo Moro, Valerio Volpini, tra gli altri). Su "Ricerca" già da qualche anno trovano infatti spazio suoi testi poetici e raffinati contributi critici. Su uno in particolare, il numero 22 (1 dicembre 1947), assieme a un’appassionata "Lettera alla Fucine" trova spazio una poesia, "Neve", che rivela già una notevole attitudine poetica (ma addirittura al ’42 datano le sue prime prove) e la capacità di accogliere e fondere nella propria dizione echi e suggestioni diverse (con il suo grigio paesaggio della «morta favola del Natale», che riecheggia il Montale metropolitano della chiusa di Limoni e soprattutto quell’«anello che si allaccia» che richiama «l’anello che non tiene» dello stesso "osso"). Proprio a leggere un passaggio della citata "Lettera alla Fucine" («Per una fucina la più vera storia e la più vera fisionomia delle persone a cui si avvicina è la storia cristiana delle loro personalità, la fisionomia e statura del loro spirito, così che ogni possibile discriminazione o sollecitazione fisica o emotiva comunque troppo umana cade, e resiste solo la realtà di un disegno divino a cui non è lecito mancare: quando due uomini si incontrano, Dio aspetta qualcosa da loro») si capisce cosa possa aver spinto la giovanissima Natalia a chiedere un incontro con il Poeta, che all’epoca è al centro di mille acrimoniose critiche per via delle sue raccolte poetiche "Giorno dopo giorno" (1947) e "La vita non è sogno" (1949), che testimonierebbero una sua "conversione" ad un retorico e populistico impegno "civile" di osservanza marxista. Tempi duri per il mondo della cultura, quello: tempi di polemiche e di scontri, se anche su una rivista come "L’Uomo" (una rivista "comasca", a cui ha collaborato lo stesso Quasimodo e di cui forse è necessario riparlare) già nel ’45, a macerie ancora fumanti, si discute in che direzione e con quali strumenti ci si possa e debba salvare, e per farlo spesso si finisce per aggredire chi la pensa diversamente.
Certo, «i poeti, amati o odiati, non si sottraggono a questo esame crudele» (esame di fronte a se stessi, prima ancora che di fronte agli altri), ammette il Poeta nella lettera del14 aprile. Si capisce che si sente sotto un fuoco implacabile; si capisce che lo subisce come il segno di una "furia", di un "orgoglio", di una "vanità" che non perdonano. Per questo, accetta di buon grado di incontrare la trepida "fucina" che da Como, una città che lui ben conosce e dove conta amici ed estimatori, gli chiede di incontrarlo, di avere con lui un colloquio "umano". Dall’incontro svoltosi a Milano, qualche giorno dopo, la giovane "dottoressa" riporterà un’impressione vivissima, che da lì a qualche tempo si condenserà in una lunga riflessione critica, «La società si difende dai poeti come può», che presto trova spazio sulla "Ricerca" e di cui il Poeta nella lettera di ottobre ringrazia con malcelata soddisfazione, evidente nel modo con cui è passato dal "gentile" dell’aprile al "carissima" di quest’ultima missiva.

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I testi delle lettere


Milano, 14 aprile 1950

Piazza S. Angelo, 1 Gentile dottoressa, La ringrazio della Sua lettera, così rara oggi che la furia e l’orgoglio e la vanità ci giudicano ogni giorno dentro di noi. E i poeti, amati o odiati, non si sottraggono a questo esame crudele. Mi venga pure a trovare; sarò lieta di conoscerla e l’attendo venerdì 18 alle 15.30. Nel caso non Le fosse possibile per quel giorno, mi telefoni al numero 65087, sempre non prima delle 13.30. Perdoni le mie aride ma necessarie cifre, e mi creda, con molti saluti, il suo Quasimodo.

Milano, 28 ottobre 1950

Piazza S. Angelo, 1 Carissima Signorina, devo ringraziarla per il Suo chiaro scritto sul nostro incontro. La ringrazio ora con ricordo, affidando alla buona sorte questa mia lettera, perché non ho trovato il suo indirizzo quando volevo scriverle; e cioè appena ricevuto il suo giornale. Mi perdoni, dunque. Non si è fatta più viva, ma questo Suo ricordo mi ha piacevolmente sorpreso. Molti cordiali saluti dal suo Salvatore Quasimodo

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