Quei mastri vetrai dal Lario alle Ande

Trapiantata e ancora viva in Cile una sapienza maturata nel Settecento a Porlezza. Maldini di Bene Lario il pioniere, i Dell’Orto di Menaggio i maggiori produttori

I “mastri vetrai” del Lario: una tradizione di cui si erano accorti per primi, tra gli illustri visitatori, Federico e Carolina Lose. «Vanta Porlezza una rimarchevole fabbrica di cristalli, che sebbene non giunga ad imitare perfettamente le estere negli oggetti di lusso, pure ottiene uno smercio vivissimo di lastre per le finestre, e nell’impegno di questo travaglio, non la cede a verun altro stabilimento nazionale di tal genere»: così annotano nel loro libro “Viaggio pittorico e storico ai tre laghi Maggiore, di Lugano e Como” (1818) i due coniugi tedeschi innamorati del nostro Paese al punto da italianizzare i propri nomi all’anagrafe di Milano.

Da una ricerca pubblicata nel 2004 da Marina Uboldi sappiamo che nel 1797 nasce presso il “mulin di strolegh” (il mulino delle streghe), in un’ansa del fiume Rezzo, la fabbrica “Minetti e Campioni”. In seguito cambierà sede e proprietari, nel segno di una costante crescita, fino al 1900, quando non riuscirà più a stare sul mercato. Oggi la tradizione dei “mastri vetrai” della Val Menaggio, o Valle di Porlezza come è altrimenti detta la “terra di mezzo” tra il Lario e il Ceresio, si fatica a percepire, ma è invece incredibilmente viva dall’altra parte del mondo, in Cile, meta primaria di una consistente emigrazione avvenuta nel XIX secolo. Seguendo la “via del vetro”, aperta con ottimo intuito dalle volontarie di Grandola e Uniti che da alcuni anni stanno ricostruendo le storie di chi si trasferì dalle Prealpi alle Ande, si scoprono personaggi da film.

Il libro sulle vetrate

Partiamo dalla fine e riavvolgiamo la pellicola fino a ritornare da dove eravamo partiti. Agosto 2020: il ministero delle Culture, delle Arti e del Patrimonio cileno pubblica il libro “Protocolo de Registro, Intervención y Mantenimiento de Vitrales Patrimoniales”, ovvero un vademecum per censire, restaurare e manutenere le “vetrate del patrimonio”, quelle di valore storico-artistico.

Nella parte introduttiva, in cui viene ricostruita la storia della vetrata artistica in Cile, appaiono subito dei nomi di chiara origine laghée. «Secondo il censimento industriale del 1894, la prima vetreria, che non disponeva di un forno per sviluppare le tecniche pittoriche, appartenne al belga Emile de Troyer. Fu seguito da Cánovas e Soci, Esteban Dell’Orto, Ferrari e Soci, Müller e Soci, la casa russa di Pablo Dvoredsky e Adolfo Schlack e Soci (Casa Maldini). Contemporaneamente appare nei programmi della Scuola d’Arte e Artigianato la specialità della vetrata».

I Dell’Orto venivano da Menaggio e i Maldini da Bene Lario. Nell’appendice al primo capitolo, che passa in rassegna le tecniche dei “mastri vetrai”, viene proposto come esempio di “Vetrata legata a piombo (senza grisaglia)” un lavoro realizzato dai “Cristales Dell’Orto” nel 1897 per il lucernario del Teatro Comunale di Santiago.

L’“Empresa Dellorto” è tutt’oggi «azienda leader con oltre 139 anni di esperienza nel mercato cileno» - si legge sul sito www.dellorto.cl - e una produzione orientata più in senso industriale che artistico. Vetrate dipinte ne realizza ancora, ma con “impressione digitale”. La società vanta due showroom nella capitale e a Temuco, città del Sud dove nacque il poeta Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, meglio noto come Pablo Neruda. Li abbiamo contattati, ma purtroppo non hanno conservato una memoria della proprie origini. A Menaggio una parte della famiglia rientrò dal Cile nel secondo Novecento. Diverse persone con lo stesso cognome vivono sul lago, a Como e in Brianza, dove a Seregno è attiva la “Vetraria Dell’Orto”, che però non risulta avere legami con quella cilena.

Passiamo ai Maldini, che ci riportano ancora più indietro nel tempo, agli albori del fenomeno migratorio verso la “terra incognita”, come era definito il Cile nelle mappe del continente Sudamericano fino al XVII secolo.

Un volume sugli emigranti

Per inquadrare l’importanza di questa famiglia all’interno della comunità italo-cilena torna utile un altro libro, “Tributo al Inmigrante Italiano”, pubblicato nel 2016 dalla Scuola italiana “Giuseppe Verdi” di Copiapó. Quest’ultima è una città di 158mila abitanti nella regione di Atacama, nel Nord del Paese, che dalla metà del XIX secolo attirò una forte immigrazione grazie alle miniere di rame e d’argento e alle opportunità commerciali aperte nel 1851 dalla costruzione delle ferrovia che la collegava con il porto di Caldera. A Copiapó si riunì la più grande comunità italiana assieme a quella della colonia di agricoltori modenesi di Capitan Pastene al Sud. I dati dell’Agenzia consolare di Atacama parlano di 269 arrivi tra il 1866 e il 1931 di cui il 49,4% dalla Lombardia. E il vice console onorario Teodoro Lingua Buzzeti, in una relazione del 1987, precisa che «le famiglie provenivano fondamentalmente dalla provincia di Como (Val Menaggio)». Fornisce anche un elenco dei cognomi: Maldini-Tornini, Grossi, Pellegrini, Scheggia, Scola-Selva, Bianchi, Bertoglio-Ferrera, Bordoli, Andreani, Piazzoli, Guaita, Giovanetti, Risi, Pesenti, Galli, Gagliardi, Vitali, Boggioni, Maggi, Lingua-Guggiana, Gilardoni, Baghetti, De Stefani, Vergottini, Marmonti, Ceresa, Sala, Fagioli, Solari, Cavalli, Calcagni, Pizzarossa, Turcati-Stefanoni, Debernardi, Erba, Fraquelli, Piccinini, Locatelli, Manno, Capicelli, Capelli, Faggi, Castelli, Ciccardini, Travella, Bassi, Pinchetti e Colombo.

Riportare l’elenco può sembrare noioso, ma pensiamo possa essere utile a tutti per capire quante spirali di Dna leghino il lago di Como al Cile e, per qualcuno, anche per ritrovare i propri consanguinei nell’emisfero australe. La preminenza dei Maldini nella comunità dei laghée trapiantati in riva all’oceano Pacifico è ben rappresentata dalla Casa Maldini-Tornini, costruita nel cuore di Copiapó nel 1915, dichiarata monumento storico nel 2008 e inaugurata come museo nazionale e spazio espositivo il 7 ottobre 2021, sotto l’egida dell’Università di Atacama. Il suo proprietario più noto fu Luis Maldini, regio agente consolare del re d’Italia che la adibì anche a sede del consolato. Casa Maldini era pure il nome del vicino negozio di famiglia, fondato da Ambrogio nel 1880, che trattava, tra le altre cose, specchi e vetri.

Ma la Casa Maldini citata nel libro sulle “vetrate patrimoniali” è un’altra: si tratta di un’attività specializzata in vetri, specchi e ceramiche aperta da Pietro Antonio Maldini nel 1845. All’inizio erano due negozi, a Santiago e Valparaiso, cui il figlio del fondatore, Antonio, abbinò anche una fabbrica. “Petra”, come era chiamato in Cile il capostipite, fu l’iniziatore del “sodalizio” comasco-cileno, ricordato a Bene Lario sul ponte del torrente Civagno che porta il suo nome e in un ritratto posto nella sala consiliare. Partito nel 1836 per evitare la leva austriaca - si legge in una relazione di Mariuccia Zecchinelli Belloni contenuta negli atti del convegno “Emigrazione e territorio: tra bisogno e ideale”, Varese, 1994 - Maldini fondò una Società di mutuo soccorso e dei Comitati di raccolta fondi, creando sviluppo sia nel paese adottivo sia in quello natale, cui fece arrivare le rimesse degli emigranti per numerose opere pubbliche.

Oggi dell’antica Casa Maldini resta a Santiago, in avenida Recoleta, una traccia labile ma affascinante: la fabbrica di vetri impianta nel 1904 dal tedesco Adolf Schlack, socio di Antonio Maldini, è divenuta un innovativo hub culturale della Fundación Mustakis. Proprio nell’anno 1875 in cui Don Pedro Maldini (ormai di firmava così) redigeva il proprio testamento, dividendo i propri beni tra i suoi sei figli, nasceva a Valparaiso la vetreria Dell’Orto, fondata da Angel e implementata dal fratello Esteban, che vi abbinò un grande negozio, la “Vidrieria italiana” nel centro di Santiago, dove smerciava sia i prodotti del proprio atelier sia molti altri di importazione.
Tornando in Val Menaggio, dalla “Gazzetta di Milano” sappiamo che il 20 settembre 1820 il viceré Ranieri Giuseppe d’Asburgo visitò la fabbrica dei signori Lepori Campioni e Compagni, apprezzando la produzione di vetri, specchi e bottiglie nere. Gli stessi articoli si ritrovano nelle pubblicità dei negozi dei Maldini in Cile, ma prove di un’importazione diretta non ne abbiamo, per ora.

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