Quello che Einstein non ha intuito

Sulla copertina di "New Scientist" lo studio di due fisici comaschi e di un russo

La prestigiosa rivista scientifica «New Scientist» ha messo in copertina, nel numero di novembre, una ricerca condotta da due fisici dell’Università dell’Insubria di Como e da un collega russo. Lo studio viene presentato l'11 dicembre nell’ateneo comasco. Uno degli autori lo spiega ai lettori de «La Provincia».

Vittorio Gorini
Quest’anno ricorre il centenario della formulazione geometrica della teoria della relatività ristretta, teoria che Einstein aveva formulato nel 1905 in maniera analitica. Un matematico tedesco, Hermann  Minkowski, ne ha dato una formulazione geometrica, che ne ha chiarito di molto il significato, nel 1908. La rivista tedesca Annalen der Physic, sulla quale Einstein ha pubblicato l’articolo del 1905, e una decina di anni dopo ha pubblicato la teoria della relatività generale (1916), ha invitato me a contribuire ad un numero speciale dedicato al centenario di Minkowski.
Con i miei collaboratori Alexander Kamenschik (ricercatore all’università di Bologna) e Sergio Cacciatori (Insubria di Como), ho deciso di scrivere un articolo che  fosse dedicato a una reinterpretazione moderna della teoria della relatività ristretta. Il nostro punto di partenza è stato quello di tentare una formulazione della celebre teoria di Einstein che si basasse esclusivamente su delle proprietà fondamentali dello spazio e del tempo universalmente riconosciute. Precisamente: non esistono nello spazio direzioni privilegiate (isotropia dello spazio). E nemmeno delle posizioni privilegiate (omogeneità dello spazio): che cosa vuol dire? Se io faccio un esperimento a Milano e lo ripeto a Sidney, esattamente nelle stesse condizioni sperimentali, con strumenti identici, i risultati sono gli stessi. Cioè: a Sidney e a Milano le leggi della fisica sono le medesime.
Infine, anche il tempo è omogeneo. Se faccio un esperimento a Como e lo ripeto tra dieci anni, i risultati saranno identici, a parità di condizioni (omogenità del tempo).
Questo punto di vista - isotropia dello spazio, omogeneità dello spazio e del tempo -, come fondamento della relatività ristretta, era già stato preso in considerazione da diversi studiosi. La prima volta, addirittura nel 1911, da parte di Ignatowski e soprattutto in un pregevole lavoro di Henry Bacry e Jean-Marc Levy-Leblond datato 1968. Purtroppo, quest’ultimo, è rimasto negletto.
Il merito della ricerca che abbiamo svolto, è stato - da una parte - di aver rilanciato i risultati di quello studio e - dall’altra - di averne generalizzato il contenuto. Che cosa significa, precisamente? Noi abbiamo dimostrato, sulla base dei principi di cui si è detto prima, che in natura esiste una velocità limite. E che lo spazio-tempo ha una curvatura residua, la quale non dipende dalla distribuzione di massa ed energia.
In che rapporti sono questi risultati con la teoria della relatività - ristretta e generale - formulata da Einstein? Questa curvatura residua è legata ad una costante che Einstein aveva ipotizzato esistere e che ha chiamato "costante cosmologica". Lo aveva fatto per questo motivo: era convinto che l’universo fosse statico. Poiché le equazioni della relatività generale non ammettevano alcuna soluzione statica, lo scienziato ha ipotizzato questa costante perché gli permetteva di ottenere una soluzione statica. Dopo la scoperta, da parte di Hubble, che l’universo è in espansione, è caduta l’ipotesi della "costante cosmologica", equivalente alla curvatura residua. Nessuno ci ha più creduto, almeno fino agli anni Settanta del Novecento, quando alcuni fisici teorici, soprattutto l’astrofisico Yakov Zeldovich, hanno ipotizzato una origine quantistica della costante cosmologica, che la caratterizzerebbe come una forma di "energia oscura" (dark energy). Nel 1997, dall’osservazione di una particolare classe di stelle supernove, molto distanti, si è scoperto che l’espansione dell’universo è accelerata. Questa scoperta ha permesso di stimare il valore della costante cosmologica, responsabile proprio dell’espansione accelerata.
Ed eccoci alla nostra ricerca. Fatto vedere che isotropia, omogeneità, sono sufficienti per arrivare alla conclusione che esiste una velocità limite e una costante cosmologica. Cioè una curvatura residua.
Sorgono naturalmente da quei principi di base. Di qui l’interesse di New Scientist verso la nostra ricerca. Colpisce il titolo ad effetto: «Perchè Einstein ha avuto torto sulla relatività». Al suo tempo sarebbe stato difficile accorgersi che la velocità limite potesse uscire dai principi che abbiamo rilanciato noi, perché era forse troppo presto. Oggi si sa che non è necessario usare la costanza della velocità della luce per dedurre la teoria della relatività ristretta.
È sufficiente partire da quei principi di cui abbiamo parlato all’inizio. Principi che ci danno addirittura qualcosa di più, cioè anche l’esistenza della costante cosmologica. 

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