"1942, Operazione Canarino"
Cantù e il kamikaze dei cieli

Costruito in Brianza l'unico aereo suicida italiano della II Guerra mondiale
Radiocomandato, fece flop per un un guasto. Oggi rivive in un modellino

Nel corso nella seconda Guerra Mondiale le nazioni dell’Asse, alla ricerca di armi sempre più letali con le quali colpire l’avversario, sperimentarono diversi fantasiosi metodi di attacco dall’aria. La Germania realizzò le celeberrime bombe volanti a razzoV1 e V2, il Giappone sacrificò migliaia di giovani piloti kamikaze facendo schiantare i loro aerei nel tentativo di colpire le navi statunitensi.
Ma ci fu anche una terza via, completamente e autarchicamente italiana, che portò alla realizzazione di una bomba volante. Questo progetto, poco noto, di un sistema radioguidato che consentisse ad un aereo senza pilota carico di esplosivo di colpire un obiettivo, anche in movimento, nacque subito dopo l’inizio della guerra, nel 1940. I bombardieri italiani allora in uso avevano una scarsa precisione e dovevano necessariamente colpire "a tappeto" con numerose bombe per sperare di centrare un obiettivo.
Data però la limitata capacità di carico degli apparecchi, ciascuna bomba aveva una potenza insufficiente tale da causare solo danni limitati ad un nemico corazzato (ad esempio, una nave da guerra). Per risolvere il problema si ideò un aereo guidato da radiocomando (cosiddetto aereo A.R.P.) che, imbarcate una o due bombe ad alto potenziale, avrebbe, colpendo con precisione il nemico, causato danni elevati.
L’aereo da sacrificare doveva essere teleguidato da impulsi radio inviati da un altro aereo (aereo P, ossia Pilota) che, seguendolo a distanza di sicurezza l’avrebbe indirizzato sul bersaglio. Si trattava perciò di una vera e propria "bomba intelligente" col vantaggio della precisione, dell’ampia autonomia e della salvaguardia della vita di piloti italiani. Si scelse di installare sull’aereo Pilota una seconda cloche, manovrando la quale si inviavano impulsi radio di diversa frequenza all’aereo A.R.P a seconda delle manovre da eseguire. A bordo di quest’ultimo i segnali, captati da un ricevitore, si trasformavano in impulsi elettrici che, applicati a un servomotore, muovevano una cloche identica a quella dell’apparecchio Pilota replicandone i movimenti. 
L’aereo veniva fatto decollare da un pilota "umano" che poi lasciava il velivolo col paracadute. La quota di crociera era fissata in circa 6.000 metri a velocità variabili tra i 300 e 450 km/h per un raggio d’azione stimato di 1.200 km. Furono scelti come aerei "suicida" dei trimotori destinati comunque ad essere smantellati cannibalizzando pezzi di ricambio da altri apparecchi. Dopo vari esperimenti molto promettenti fu iniziata la prima azione d’attacco vera a propria avvenuta nell’agosto del 1942, con un trimotore SIAI Marchetti S.79 a fare da aereo-bomba, decollato da una base in Sardegna per intercettare un convoglio di navi inglesi in navigazione al largo della costa africana. La missione, chiamata Operazione Canarino per via del colore giallo vivace di cui era dipinta la fusoliera dell’S. 79 in modo da renderlo ben visibile all’aereo Pilota che lo seguiva, fallì. Un banale guasto ad un autarchico componente del velivolo lo sottrasse al controllo e l’aereo senza pilota proseguì il volo fino a schiantarsi su dei monti algerini. Tuttavia il progetto venne ritenuto valido, e fu allora che si decise di usare un aereo bomba  appositamente studiato. Evidenti furono i miglioramenti rispetto al primo progetto, con un aereo più leggero, con maggior autonomia e più economico da produrre. La produzione del nuovo velivolo fu commissionata alla «Aeronautica Lombarda» di Cantù. La ditta canturina, fondata dall’ingegner Bonomi - pioniere del volo a vela in Italia - all’epoca era di proprietà dei fratelli Ambrosini, proprietari anche di una importante industria aeronautica.
Il risultato fu denominato Aeronautica Lombarda Assalto Radioguidato, e la produzione consistette in un prototipo biposto e 5 aerei di serie con una struttura tutta in legno, a parte gli alettoni ricoperti in tela, con una leggera centinatura e un rivestimento in compensato. Un insolito manufatto dell’industria canturina dell’aero…mobile. L’aereo, apertura alare di 17 metri, lungo 14 e dotato di un motore Fiat A. 80 da 1000 cv, era prodotto in due tronchi, per permetterne il trasporto in ferrovia e rimontato sul posto dove doveva essere utilizzato. Il carrello, metallico, una volta decollato il velivolo, era sganciato dal pilota per essere recuperato; oggi lo si direbbe un vero e proprio prodotto ecologico e riciclabile… All’ interno della stiva trovavano posto due bombe da 1000 kg. prive degli inutili impennaggi.  Il pilota faceva decollare l’aereo, lo portava in quota e in rotta e, controllata l’efficienza della radio guida, attraverso un apposito scivolo si lasciava cadere all’esterno aprendo poi il paracadute. Da quel momento l’apparecchio sarebbe stato radioguidato fino all’obiettivo dall’aereo Pilota che lo seguiva. Nel giugno del 1943 al campo d’aviazione di  Venegono, il prototipo dell’Aeronautica Lombarda A.R. fece i primi collaudi con risultati soddisfacenti. 
I primi aerei di serie furono pronti nell’agosto del 1943. Tuttavia la fornitura degli indispensabili apparati di radioguida era in ritardo e la produzione di serie, in essere presso la ditta di Cantù, venne interrotta con l’Armistizio dell’8 settembre. Non si conosce il destino del prototipo e degli altri esemplari. Un particolare curioso conclude la storia della bomba volante "intelligente" italiana in salsa canturina: pur essendo l’A.R. un aereo prodotto in solo due esemplari volanti ha avuto l’onore di rivivere ai giorni nostri  riprodotto da una ditta di modellismo.
Roberto Bargna

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