Ravasi, il signore della seta
che affascinò Papi e regine

A inizio Novecento l'imprenditore era una star: Como lo celebra fino all'8 dicembre. Esposto anche il piviale di Pio XI (1925), prestato in via eccezionale dal Vaticano

di Alberto Longatti

Di solito, quando si mette in vetrina il prodotto di un’attività imprenditoriale, l’impressione visiva che se ne trae è derivata dal prodotto stesso: è un’immagine che ne riproduce l’aspetto. Nella mostra dedicata a "Guido Ravasi, il signore della seta" dalla Fondazione Ratti, tramite il Museo-studio del Tessuto, sono le stesse immagini a dominare l’attenzione più del prodotto che le rappresenta, un raffinatissimo tessuto serico dove l’armatura è un calcolato intreccio di fili che ricorre anche al metallo per creare effetti luminosi.
Sono proprio le immagini costruite dai fili, con percorsi studiati fin dalle meticolose messincarta, a guidare il visitatore in un mondo dove aspetti della realtà sono colti e bloccati in una sorta di incanto onirico, trasformati in fantasiosi oggetti ornamentali, dai colori sapientemente accostati e alternati, con una tecnica di composizione tessile che l’apparenta a quella degli antichi arazzi.

Fluido gusto contemporaneo

Drappi, manti, abiti, scialli qui richiamati in sintesi da ritagli e campionature, attingono dal repertorio figurativo di un liberty che ha già esaurito in Europa la sua carica inventiva ma nell’Italia degli anni Venti mantiene intatto il suo fascino affabulatore, per mescolare alla rigorosa cultura occidentale ondeggianti suggestioni dell’Oriente, sinuose giapponeserie a misteriose evanescenze indiane, figure animaliste, aspetti della natura con minerali (la malachite, in particolare), fronde e divagazioni astrali, sagome femminili ed anche semplici motivi geometrici che però non sono rigidi ma tendono a seguire un moto rotatorio. Ecco perciò che quando ci sono le citazioni di eleganti scacchiere secessioniste, derivate dai laboratori della Viener Werkstätte di Hoffmann e Moser, perdono la loro severità per osare capricciose evoluzioni, una danza incessante di forme o, meglio, un inesausto moto in una liquida atmosfera. Non è un caso certo che siano così frequenti nei tessuti lavorati su telai a mano nelle diverse sedi dell’attività di Ravasi (presso la cosiddetta Bottega di piazza Vittoria o le aziende di Oltrona San Mamette e Binago), allusivi riferimenti a paesaggi marini e lacustri: l’acqua intesa come elemento vitale primario ma soprattutto estremamente mobile, fluido. È un’indicazione di gusto che si riproduce costantemente come un marchio di fabbrica e costituisce non l’ultima ragione della fama raggiunta da Ravasi attraverso gli interventi in mostre e fiere internazionali, l’Expo di Parigi e le Biennali di Monza, confermando l’estrema qualità di una produzione d’élite sia che si eserciti in tessuti per arredamenti o in capi d’abbigliamento prestigiosi quali il manto nuziale per Maria José di Savoia, o anche nella cravatteria dove per molti anni è il modello che tutti cercano di emulare, specialmente quando l’accessorio maschile non teme di servirsi di figurazioni di dimensioni inusitate che riprendono i motivi sperimentati nei tessuti per altro uso, anche nell’ambito della moda femminile. Giustamente la mostra ha riservato uno spazio a parte per la cravatteria, distinguendo i capi di maggiore qualità da quelli che si adeguano alle esigenze del commercio a largo raggio, con una breve incursione anche nello stampato. Questa della ripartizione netta fra un ramo e l’altro della gran fabbrica ravasiana è una delle più interessanti indicazioni della ricerca storica, alla quale si aggiunge la riscoperta dei principali collaboratori o ispiratori dei disegni, fra cui emergono lo scenografo e costumista scaligero Mario Cito Filomarino, Piero Persicalli (attivo soprattutto nei soggetti marini) e Dagobert Peche. Sono indicazioni che si addentrano positivamente anche nell’ultima fase, in calando, del lavoro dell’industriale-artista, quando si adegua alla retorica propagandista del regime fascista non senza qualche significativo sprazzo di anticonformismo rivoluzionario, segno indubbio dell’afflato ideale che ha sempre guidato comportamento e azioni del personaggio. Concludono la rassegna le tappezzerie per la Biblioteca Ambrosiana, allora diretta da monsignor Galbiati e un suggestivo panorama dall’alto, riprodotto su tessuto, dei grattacieli di Manhattan. Un omaggio al sogno della Città Nuova santeliana ma anche una resa al simbolo della modernità che spazza via ogni residuo di lusso borghese e, come temeva Ravasi, della nobiltà di un artigianato esteticamente perfezionista.

Tessuto per l’Anno Santo

Suprema testimonianza di questa "nobile" difesa della tradizione artigianale, al centro della mostra troneggia il sontuoso manto di Pio XI, ricamato con figurazioni celestiali alla Previati e impreziosito dai gioielli di Alfredo Ravasco, dono per il Papa lombardo in occasione dell’Anno Santo 1925. Viene dalla sacrestia della Cappella Sistina ed ora si dispiega in tutto il suo splendore in una teca cilindrica trasparente disegnata dall’allestitore della mostra, l’architetto Paolo Brambilla: su un ripiano a lato sono collocati ventuno fogli che rappresentano in sequenza le fasi dell’elaborata realizzazione del piviale. L’opera originale, dunque, concessa in prestito dal Vaticano. appare assieme a una documentazione che in gran parte esce dall’archivio del Museo didattico della Seta. Sarà certo l’attrattiva principale di questa eccezionale esposizione, curata con passione e competenza da Francina Chiara e Margherita Rosina, la prima che così organicamente descrive l’opera di Ravasi , grazie all’apporto di un vasto campionario di tessuti conservati, oltre che dal museo del tessile di Antonio Ratti, da collezioni private.
 
"Guido Ravasi, signore della seta", Como, Museo Studio del Tessuto, Lungo Lario Trento, da oggi fino all’8 dicembre. Orari: martedì/venerdì 16-19; sabato/domenica ore 11-19. Ingresso libero.

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