Riccardo Tisci, il comasco
diventato re della passerella

E' di Cermenate lo stilista di Givenchy: veste Madonna e tante star. La sua ispirazione? "Mia madre e le mie otto sorelle". La sua storia sembra una favola contemporanea

Mia mamma? Una donna da Nobel. Il mio lavoro? È il mio psicologo. Cos’è più importante nella mia vita? Le mie otto sorelle. Il mio maestro? Il prof. Borriero, mio insegnante alle scuole medie a Cermenate».
È lo stilista più acclamato del momento, i suoi abiti costano fino a 250mila euro e sta disegnando i costumi per un grosso concerto che nei prossimi sei mesi girerà il mondo. Si chiama Riccardo Tisci, ha 33 anni, da tre e mezzo ha le chiavi della maison Givenchy, gliele hanno consegnate quando il marchio era «distrutto» dice lui «avevano cercato di rilanciarlo con bravissimi stilisti, ma non ci erano riusciti.
A me hanno chiesto di rimettere a posto tutta la casa, così, per un anno e mezzo ho deciso di non incontrare nessuno, non vestire alcuna celebrity, ma concentrarmi totalmente sulla rimessa in piedi della maison. Una fatica enorme, passata dall’apertura del negozio a Faubourg Saint-Honoré a Parigi, e poi il decollo». Dopo aver disegnato per Givenchy Femme per la Haute Couture e il prêt-à-porter, Riccardo viene incaricato della direzione artistica anche per la collezione uomo e il prêt-à-porter e gli accessori maschili. Praticamente tutto Givenchy. Le sue biografie partono dal diploma alla Saint Martin’s di Londra, il tempio dello studio della moda, dai suoi incarichi per Antonio Berardi, Coccapani, Puma, Ruffo Research, ma in realtà quelle erano già delle postazioni conquistate. Il Tisci stilista nasce molto prima, in una famiglia di nove fratelli, otto sorelle e lui, un papà pugliese fruttivendolo a Cermenate, in provincia di Como, morto quando lui era ancora piccolo. La sua segretaria lo introduce in inglese e la sua voce al telefono sorride. Un saluto e subito la conversazione si cuce alla sua famiglia: quello che è ora, oggettivamente una star mondiale, con quello che è stato.
«Pochi soldi e tanto amore. Nella mia famiglia funzionava così, una mamma vedova che faceva sacrifici enormi per mantenerci... anche sulla buona strada. Nessuno di noi fratelli ha sbandato, abbiamo tutti una vita regolare, lavoriamo, tenendo sempre presente il motto della mamma: "dimentica il bene che fai..."». E Riccardo non dimentica quelli che oggi si chiamerebbero "credits", i grazie da dire. «Io sono riuscito a studiare dopo le medie, ma lo devo al prof. Borriero. È stato lui a insistere con la mamma perché mi facesse studiare, anche se non c’erano soldi». Riccardo ha frequentato l’istituto d’arte di Cantù, lavorando per mantenersi «sono sempre stato timido, con pochi amici, Sara, Monica, che conservo tuttora, e comunicavo disegnando e intanto facevo tanti lavoretti. Finita la scuola d’arte, a 17 anni, vinsi un concorso per uno stage da Faro, a Como. Missoni, Paloma Picasso comperavano i miei disegni, ne ero felice, ma mai avrei creduto di arrivare dove sono. Volevo portare a casa la pagnotta, star bene con la mia famiglia, ma anche andare a Londra, ovviamente a disegnare. Lì ho fatto il salto. Commesso in un negozio, a un corso gratis di disegno ho conosciuto un professore che mi ha spinto a tentare la St. Martin’s. Figuriamoci, il tempio della moda! Dove trovavo diecimila sterline l’anno per frequentarla? Però, per orgoglio mi sono presentato alla selezione e... sono finito tra i cento ammessi sui mille aspiranti. Ma senza soldi, niente scuola».
E qui, un altro grazie: «È stata la direttrice a dirmi che non dovevo sprecare il mio talento e mi ha convinto a sostenere un altro esame per una borsa di studio statale. L’ho passato e la St. Martin’s è diventata realtà. In Italia non sarebbe successo, purtroppo. Ma a lanciarmi è stata la mia sfilata di fine corso, l’ho battezzata "8 e mezzo, the procession"».
Fellini? «Sì, era uno studio su Fellini, ma nel nome... delle mie otto sorelle. Otto modelle molto sexy sfilavano in processione su tacchi a spillo. Fu un trionfo. E qui devo ringraziare l’Italia, mi sponsorizzò Sergio Rossi per le scarpe, Lorma e Blue Line e Zibetti, comaschi, per i tessuti». Pare chiaro, l’aria di Parigi e di Londra non ha soffiato via dalla testa di Riccardo radici e sani principi e per questo viene da chiedergli: ma lei si ricorda che veste Madonna, Carla Bruni, Nicole Kidman? Certo che lo sa, perché lui le vede, non in foto, ci parla, decide con loro quale vestito va meglio per seratine da niente tipo... la consegna degli Oscar del cinema. «Sì, lo so che vesto le celebrity - ride al telefono - ma ogni tanto mentre lo dico non ci credo nemmeno io! Queste donne incarnano il messaggio che voglio dare io, hanno confidenza con il proprio corpo e un’identità "intelligente". È incredibile, sono fortunatissimo, in poco tempo la mia vita è cambiata completamente, viaggio perfino con aerei privati...».
Però, magari, da Londra in qua, Riccardo un po’ l’aveva capito che stava succedendo qualcosa di enorme, no? «Pensavo di aspettare 4/5 anni prima di avere un riscontro dai buyers in Italia e in America per Givenchy. Invece... In Italia i primi a credere in me sono stati Corso Como e Carla Sozzani, poi la stampa mi ha seguito molto, io però volevo stare tranquillo, ricreare l’immagine Givenchy, fare anche abiti alla portata di tutti. Ho voluto vestire anche non famosi e star italiane come Anita Caprioli, Valeria Golino, Carmen Consoli. Mi fa male sentir dire: "io Givenchy non me lo posso permettere", così disegno anche pezzi per tutti, canotte, t-shirt e accessori». Protagonista assoluto, in pochi anni, Tisci parla del jet set come dei vicini di casa, sa di magico.
Chissà se si può, in una favola così, restare se stessi. Riccardo un po’ di paura ce l’ha, ma lui ha già pronto l’antidoto contro eventuali sterzate: «Ai miei collaboratori più fidati, la prima cosa che ho detto è stata: se il successo mi prende il cervello datemi una botta in testa e mandatemi a casa! Voglio restare jeans, maglietta e umiltà tra le mani». In bocca al lupo, e non scordi la sua "mamma da Nobel"!

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