Rivoluzionario "per caso"
Un racconto di Pozzoli

La memorabile giornata di uno studente coinvolto, suo malgrado, in un corteo anti-Gelmini finito male. Lo firma per "La Provincia" il vincitore del Premio Chiara Giovani, il comasco Filippo Pozzoli, 19 anni

di Filippo Pozzoli

Io non ne so niente. Ché io, sinceramente, questa storia non l’ho capita bene. Com’è che ti alzi alle seieventi, prendi il treno di corsa e davanti al Liceo uno striscione ti rimanda a casa ché la scuola, dice, è occupata, anzi, la squola è okkupata e non ha tempo per l’amabile e consueto mortorio? Almeno dirlo ieri, diavolo. Comunque ai miei non ho detto nulla, manco mi crederebbero. “C’è sciopero degli studenti, cazzone!”, ha risposto bonario quello che all’ingresso appendeva lo striscione e aveva l’aria di saperla lunga. Dev’essere il rappresentante, quello che il giorno che siamo stati quattro ore in auditorium era sul palco con un copricapo vichingo, una giacca gessata e un paio di bermuda fioriti a declamare vistosamente il proprio programma – ricreazione di quindici minuti anziché dieci, merendine meno care e specchi nei cessi. Io non ho votato, per inciso. E comunque, dicevo, ai miei che avrei detto? Che oggi gli studenti scioperano e io a scuola non ci vado? Già me lo sento, il vecchio, “Cos’è, volete più paghetta ché un panino alle undici non vi basta più?”. Zero storie. Ho preso il treno dopo, me ne vado fino a Milano a bighellonare e bello placido me ne rincaso all’una e mezza come al solito. Ché peraltro, oggi, interrogava pure in Latino. Sta occupazione mica è una cosa seria, sarà una delle bravate che si inventano quelli del quinto anno per gratificare da vecchi la polvere sull’annuario venturo. Capace pure che mi immischiano in qualche grana. E invece mi godo il Liga nelle orecchie, il libro di Latino che pesa di meno e la carrozza vuota. Anzi no, salgono sette figuri. Avranno sui vent’anni, tre hanno la barba lunga e uno i capelli in una cresta tinta di blu. Son carichi come muli, tra zaini e lenzuola istoriate in mano. Cos’è, scioperano anche i pendolari delle Nord adesso? Occupano la carrozza e poi a lavorare ci vanno a piedi? Pazzo mondo! - Questa roba finché non scendiamo a Cadorna non la si deve vedere. Piegate gli striscioni e metteteli negli zaini, ognuno il suo. - Ale, ma sei sicuro che senza i permessi non saltino fuori casini? - Tranquilla. Anche ieri duecento del Poli si sono fatti tutto Corso Venezia e han fatto lezione fuori dalla Triennale. A parte qualche stronzo che ha suonato il clacson, tutto liscio come l’olio. - Sì, ma noi siamo milleottocento e attraversiamo tutta Milano… - Eddai, Cla, da quando per manifestare devo chiedere il permesso a qualcuno?! E poi è il momento giusto per fare un po’ di sano casino…oh, Mao, lo storico l’hai portato? - Quale? Quello del G8 di Genova? - Certo, quale sennò? - Sì, l’ho qua, ma scusa, che c’entra con la Riforma? - Quelle parole sono immortali, c’entrano sempre. Anche se voi vi credete assolti sarete sempre coinvolti. Mio fratello si è preso una manganellata per tenerlo alto, allora. Senza di quello l’Ale non manifesta, lo sapete. E stavolta, dai, cosa vi ho messo in piedi, ragazzi? Milleottocento persone, dico, milleottocento in un solo corteo, tutte io! - Va bene, come vuoi. Ma chi lo porta? - Io ho il megafono e la bandiera. Voi non avete nemmeno una mano libera? - No, l’hai detto tu prima, ognuno il suo striscione. Silenzio, un attimo. Il detto Ale rimugina veloce. - Tu, ragazzo. Come ti chiami? Oh cazzo, ce l’ha con me. - Marco. - Sei un primino, eh? Bravo. Uno di quelli che anziché starsene a casa a dormire o a scuola ad occupare le aule con i giochi da tavolo si butta nella grande macchina dello scendere in piazza. Giovane Marco, a te l’onore. Porterai lo storico. Gesù, e questi chi sono? Sono in tanti e hanno voglia di fare casino, puzzano di alcool e secondo me negli zaini ci tengono i coltelli. C’è da pararsi le chiappe. - Dove lo devo portare? - Per tutta Milano, si parte a Cadorna. - Sì, ma per metterlo dove? Guardano strano. - Cos’è, ci prendi per il culo? - No. - Lo porti in strada, no?, c’è tutta l’Italia che raglia. Che non li guardi i telegiornali? Amico, a quell’ora c’è Dragonball. Io di ’sti sofismi da grandi città non ne so niente. Da noi in collina si guarda la cronaca nera. - Che poi, Mao, ho sentito il Franz l’altro giorno. Mi ha detto che anche a Como stan facendo bene, hanno occupato il Giovio due giorni e oggi scendono in strada anche loro. Così devo portare lo storico. Tenerlo in mano per tutta Milano, alto, altrimenti si arrabbiano. Mi chiedo solo - Ma perché, a quelli cosa frega se ve ne andate in giro a sbandierare per le strade? Dovevo pensarlo e basta, diavolo. Ho scelto il punto più sbagliato per connettere la mandibola al cervello. Mi guardano, fissi, opporcaputtana qui l’ho detta grossa. Adesso Ale mi strappa lo storico di mano e mi riempie di botte. E invece guarda fuori e dice solo - Bene, ragazzi, pronti. Siamo arrivati. Giù dal treno. Una falange oplitica spaventosa, come quando arrivano quelli brutti ma buoni guidati da Gandalf nel Signore degli Anelli. Piazzale Cadorna come il Fosso di Helm, presente il film? Applaudono, l’Ale saluta come un eroe a cavallo e mi mette in mano lo storico. Ovazione. Vuoi vedere che l’Eletto sono io e mo’ mi metto pure a volare? Bagaj, che giornata! La falange si apre come il mar Rosso al passo di noi otto, con davanti l’Ale come Bruce Willis in Armageddon mentre sta per salir sullo shuttle. Siamo avanti a tutti e soli in fronte al piazzale, nudo e bollente. - Fuori le bandiere, ragazzi. Massimo, ecco chi è l’Ale! Al mio segnale, scatenate l’Inferno. Anche se lui sulla maglia c’ha scritto Spartacus e qualcosa che suona tedesco. E intanto mi spingono e cominciano a gridare “Non pagheremo / la vostra crisi!” in una cantilena da stadio in pentametri doppi e sospesi. Mentre l’Ale col megafono non lo si sente quasi e di bandiere come la sua ce ne son dietro a dozzine. - Grida, giovane, e tieni alto lo storico! E sia. È un’euforia contagiosa, ti danno una spinta e poi te ne rotoli che è una favola, come su un piano inclinato! Grido, muovo lo storico a tempo davanti a tutti gli altri stendardi come “E’ solo l’inizio!” ed “EnteroGelmini per una Riforma di merda”, e spalleggio l’Ale, sono il suo vice! E prima o poi gli faccio le scarpe, ci puoi scommettere, ché qui ho capito come funziona, chi grida piussè la vaca l’è sua! Le macchine inchiodano, bestemmiano e clacsonano, ma chi se le caga! Loro non sono niente, non sono la Storia! La Storia siamo noi, siamo la punta della lingua umana già in Foro Bonaparte. E adesso si va, bagaj, si scende fino a Roma e si rifà l’Italia, noi, i mille dell’Ale come Garibaldi, che se questa vita è un film ci puoi scommettere, alla Terra Promessa lui non ci arriva e il colpaccio lo faccio io e - Oh cazzo, i celerini! Urlano, da dietro, e non cantano più. Davanti a noi delle testuggini nere, ci vedi solo l’elmetto ceruleo e ne immagini gli occhi sotto, rossi. I troll. Lo storico se ne sta alto da solo oramai. Quando rotoli su di un piano inclinato, fermarti è un casino. Noi siam la punta della lingua che grida, della freccia scagliata quattrocento metri prima, e si avanza. Ce li abbiamo davanti, compatti, noi come loro. L’Ale si scaglia come il pelide Achille brandendo il megafono a martello d’Efesto. Gli altri, con le bandiere come lance. Bella merda, io con lo storico che ci faccio? È un fazzoletto liso, con nove parole di un rosso sbiadito. Oddio, davanti a me. Questo non è un troll. È Sauron. Vai, storico, proteggimi, pensaci tu! Storico, esci dalla tua sfera Poké! Niente. Dov’è l’Ale? Magari lui ha le sfere del Drago e Tuck. Sauron non c’è più, è tutto nero come la testuggine, l’elmetto, il cielo, l’Ale, lo storico che mi scivola di mano come il rumore dalle orecchie che dice che “Han pestato il bambino! Carogne!”. Io non cammino più e nemmeno grido. Dite a Sauron di non ammazzarmi. Lo storico non è mio e di tutto questo, lo giuro, io non ne so niente.

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