Tornano ad aprirsi gli atelier
Aria di Razionalismo in città

Non solo mostre e gallerie: Fabrizio Musa inaugura uno studio. Proprio come nella grande stagione dell'Astrattismo

L’arte in città non è soltanto celebrata da mostre o offerta in vendita da gallerie. C’è un modo più diretto per accostarla e conoscerla in tutte le sue forme, visitare il luogo stesso dove nasce, prende vita, si sviluppa: l’atelier, il laboratorio creativo degli artisti.
Può essere un locale riservato, da visitare in punta di piedi rispettando il rapporto intimo che l’autore ha nei confronti di ciò che esce dalle sue mani, oppure un ambiente aperto, che accetta anche l’intrusione di estranei e con loro stabilisce una comunicazione diretta. Nel secondo caso, come già accadeva a Como negli studi di pittori e scultori del gruppo astrattista, non si assiste, ma si partecipa ad un evento creativo, lo si discute, quasi si ha l’illusione di essere diventati collaboratori. Ebbene, sta accadendo qualcosa di simile anche oggi. Una folla di persone, per la più parte giovani, ha invaso nel pomeriggio di domenica scorsa il nuovo opening space di Fabrizio Musa in via Indipendenza 55: sei ampi, luminosi locali e un’ombrosa terrazza al primo piano dello stabile diventato famoso perché proprio lì si trovava lo studio di Giuseppe Terragni. Musa ha sempre voluto condividere la sua particolare maniera di rappresentare la realtà con qualche spettatore interessato, sollecitandone le impressioni: anzi, la sua intenzione è quella di invitare il fruitore delle sue opere a entrare materialmente in esse, dato che evocano spazi abitabili, prospettive urbane, architetture colte in angolazioni che ne esaltano la dinamicità o la loro presenza misteriosamente animata da un soffio vitale. Qualcuna delle sue grandi immagini architettoniche campeggia sulle candide pareti del suo "buen retiro" artistico: la familiare cupola del Duomo che spunta tra le guglie, le magiche geometrie di Terragni, gli sdutti volumi cilindrici e le ragnatele metalliche di Botta, le stalagmiti di cemento e cristallo che affollano l’isola di Manhattan. In questo modo, Fabrizio Musa non ha voluto soltanto allestire una minipersonale privata ma spalancare per gli invitati tante finestre su un mondo che è diventato suo, catturando non solo gli oggetti, ma le sensazioni che gli hanno provocato il desiderio di catturarli, trasferirli sulla tela, risagomandoli con l’apporto della fantasia.
Presto ne seguirà l’esempio, in una diversa realizzazione di "open space", un altro noto artista, Nicola Salvatore, che scende in città per adattare in via Anzani un ambiente parzialmente coperto, ma anche con una superficie sgombra, a laboratorio per le sue sculture, spesso di dimensioni rilevanti. <+G_FIRMA>Alberto Longatti

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