Sorico, quarant’anni fa
la morte di Edi Copes
«Riaprite le indagini»

La famiglia pronta a presentare una nuova richiesta alla Procura di Como.

Edi Copes, 17 anni, venne trovato senza vita in un fosso tra gli alberi a pochi passi dalla strada del Ponte del Passo.

Era la notte tra l’8 e il 9 febbraio del 1982, a Sorico. La gente dell’alto lago, questa tragedia non l’ha mai dimenticata. E oggi sono passati 40 anni esatti.

La famiglia non si è mai arresa a quella che fu la versione ufficiale di allora: un incidente stradale, con Edi – l’8 gennaio – prima colpito da un camion, poi soccorso dal camionista che infine decise di riportarlo nel punto dell’incidente, nascondendolo in mezzo agli alberi, dopo il decesso avvenuto verosimilmente durante il tragitto verso l’ospedale. Edi era uscito quella sera per andare da un meccanico a Sorico e non fece più ritorno a casa.

Venne trovato dalla madre Letizia alle 4 della mattina del 9 febbraio, nell’ennesimo tragitto a piedi tra la casa e il meccanico. Per i familiari quello che accadde ad Edi Copes sarebbe stato da cercare lungo altre vie, che ruotavano attorno a un manubrio e a un contachilometri di una Vespa che il ragazzo aveva ricevuto in dono da un amico per dei lavori che gli aveva fatto sulla sua moto.

Quel manubrio e quel contachilometri tuttavia sarebbero appartenuti ad una Vespa rubata, motivo per cui il diciassettenne aveva iniziato a subire minacce e, pare, panche pestaggi.

Edi non era tranquillo, in quelle ore prima di scomparire. E ne aveva parlato anche con la madre, che ancora oggi – a 40 anni di distanza – chiede di sapere la verità su quanto accaduto al figlio. Nel maggio scorso la trasmissione “Le Iene” riportò la vicenda alla ribalta nazionale. Ma ora la storia di Edi Copes potrebbe diventare tema d’attualità – di nuovo – anche in Procura a Como. La famiglia, con un atto a firma dell’avvocato Noelle Meroni, avrebbe quasi ultimato la richiesta per chiedere la riapertura delle indagini. Una istanza che tuttavia necessiterebbe di nuovi indizi di prova emersi successivamente alla richiesta di archiviazione che fu accolta nel 2000.

Un “cold case”, che baserebbe i presupposti su più punti al momento non noti, fatta eccezione per una nuova trascrizione di intercettazioni dell’epoca ritenute importanti dall’avvocato e dalla famiglia ma che tuttavia rimasero inutilizzate.

Trascrizioni perché la lingua parlata era un dialetto molto stretto e di difficile comprensione. Cosa si dicevano i sospettati in quelle telefonate? Sarà uno degli elementi cardine per una vicenda che, 40 anni dopo, potrebbe non essere ancora chiusa.

(Mauro Peverelli)

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