Como: dolore e lacrime
«Per lui eravamo come dei figli»

Como, il pianto dei senzatetto e degli stranieri per la morte di don Roberto: «Sono musulmano, ma andavo in chiesa con il sacerdote»

Arrivi in piazza San Rocco e il colpo d’occhio è quello di una cinquantina di persone, più della metà immigrati, che in silenzio osserva quel corpo a terra sotto il telo steso dai soccorritori. È una folla eterogenea di italiani, nigeriani, somali, ghanesi, algerini. La maggior parte ha gli occhi lucidi. Alcuni - i ragazzi stranieri più giovani e alcune donne - palesemente in lacrime.

Disperazione

«No, don Roberto no! Ma perché?». Eddy, ragazzo nigeriano, arriva in piazza San Rocco un’ora e mezza dopo l’omicidio. E sembra come impazzito. «Ma chi è stato? Lui faceva solo del bene...». Piange. Alza la voce. Non riesce a stare fermo. «Domenica scorsa aveva servito messa con don Roberto» commenta Mauro Pallaro, ospite del dormitorio di via Napoleona. Eddy, musulmano, in chiesa con don Roberto ci andava volentieri. E non era il solo: «Perché siamo tutti fedeli, abbiamo tutti un credo e a lui non importava se eri musulmano o cristiano», dice Mohamed Abdinasir Rsaas, un ragazzo somalo. Ancora Mauro Pallaro: «Stamattina lo aspettavamo per la colazione, come tutti i giorni. Non l’abbiamo visto e ci siamo chiesti: chissà perché. Era strano, perché lui era sempre puntuale. Poi scendiamo e vediamo tutta questa polizia e i carabinieri e chiediamo: ma cos’è successo? Quando abbiamo saputo che era don Roberto...». Scuote la testa, mentre cerca di calmare l’amico Eddy. Poi aggiunge: «Era una persona incredibile. Ha fatto tantissimo per i senzatetto come noi».

Al di là del nastro bianco e rosso della polizia sindaco e assessore parlano con le forze di polizia. Al di qua il popolo di don Roberto convive con un sentimento che è un misto di dolore, rabbia, paura. Non ne fa mistero Daniel Frimpong, un ragazzone ghanese: «Quando vivevo in via Grossi, don Roberto passava sempre a trovarmi e a chiedermi come stavo e se avevo bisogno di qualcosa. Era una persona non brava, molto brava. Ora abbiamo paura, perché molti se la prenderanno con gli stranieri. Come se fossimo stati noi a voler far male a don Roberto. Ma non è così: noi gli volevamo bene».

Il ricordo

E bene gliene voleva lui: «Per lui noi eravamo come i suoi figli - dice Njondou Danso, da dietro le sue treccine e i suoi occhi arrossati per le lacrime - Era una persona perfetta: noi, per lui, eravamo tutti uguali. E lui aiutava tutti, senza fare distinzioni».

Lo conosceva solo da un anno, ma già si sentiva anche lui come un figlio Mustafa Mohammed Mohammed: «Se avevi bisogno di aiuto lui c’era» conferma, aiutato con la traduzione in italiano da un amico. «Mi trattava come fossi un figlio».

Parla bene l’italiano, invece, Erico Agemang. Lui in Italia è arrivato 25 anni fa: «Il mio nome deriva da Enrico perché mio padre lavorava con gli italiani, in Ghana - spiega - Don Roberto lo conosco da tantissimi anni. Se avevo fame, mi aiutava con il cibo. Se avevo bisogno di vestiti, lui me li portava. Se non avevo le scarpe, ci pensava don Roberto. Se ero malato, era lui a portarmi in ospedale o dal medico. Quando chiunque di no era in difficoltà, lui c’era».

«Era una persona importante - esclama Abdi Abdlahi - Perché senza fare distinzioni lui aiutava tutti quelli che avevano bisogno».

«Mai lo dimenticherò» commenta Danso travolto dall’emozione, mentre abbraccia un’amica italiana, volontaria con don Giusto e con don Roberto.

Il popolo eterogeneo del prete che aveva scelto di dedicare la vita ad aiutare gli altri si lascia scappare un applauso quando il feretro con il corpo di don Roberto si allontana. Dalla folla si alza una singola voce: «Datemi chi lo ha ucciso, lo voglio vedere morto». Ma è una voce che si spegne veloce come si è infiammata. Perché è «bontà» la parola più usata in piazza San Rocco. E sembra quasi stonata di fronte all’efferatezza dell’omicidio, al sangue, al coltello a terra. Non per chi conosceva don Roberto. Non per il suo popolo. Eterogeneo. In lacrime. E, da ieri, più solo.

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