Coronavirus: i “ladri”
che rubano i giornali sul web

Denuncia della Fieg e inchiesta di “Repubblica”: fenomeno esploso con il lockdown che causa per le aziende editoriali un mancato introito di 670 mila euro al giorno, circa 250 milioni di euro all’ anno. E danneggia tutti i lettori onesti

I “ladri” di giornali, per voi lettori che ogni giorno pagate il giusto per acquistare la copia cartacea o digitale del vostro quotidiano, oppure avete sottoscritto un abbonamento a uno dei due, sono come gli evasori fiscali di fronte di contribuenti onesti. Per colpa dei primi ci vanno di mezzo i secondi perché gli editori, di fronte ai mancati introiti, come lo Stato fa con le tasse, e se proprio non riescono a farne a meno, si trovano costretti a ritoccare le tariffe e penalizzare gli onesti. Per questo il fenomeno della “pirateria” digitale sulle fonti di informazione che, meglio ricordarlo, comincia anche quando uno riproduce sui social la pagina di un quotidiano sui cui contenuti vige il diritto da autore, non è meno odioso di quello dell’evasione fiscale. L’emergenza Covis-19 ha purtroppo accentuato questo fenomeno. Lo segnalano la Fieg (Federazione Italiana Editori di Giornali) e la Guardia di finanza. Del caso si occupa anche “Repubblica” del 15 aprile con un articolo in apertura di pagina e altri approfondimenti. Da quando il Paese è in lockdown, - scrive il quotidiano - un milione di italiani, secondo una stima della Fieg e della Guardia di finanza, legge ogni giorno giornali “pezzottati”, o piratati, quelli cioè rubati agli editori e portati ai lettori gratis attraverso le più comuni applicazioni di messaggistica.

Un fenomeno illegale - simile a quello che avviene con il calcio, la musica e la cultura - che però anche grazie alla sfacciata complicità dei “giganti del web” - i primi a trarne vantaggio - in questi giorni è definitivamente sfuggito dal controllo dello Stato in un momento in cui la necessità dei cittadini di essere informati correttamente è alta come mai.

La Fieg, ha inviato all’ Agcom, l’ Autorità garante per le comunicazioni, una nota in cui chiede la chiusura, anche temporanea, di Telegram o quanto meno dei suoi canali dedicati, l’applicazione più utilizzata per la pirateria che però viaggia in mille rivoli virtuali. Il caso è arrivato anche sulla scrivania del sottosegretario all’ Editoria, Andrea Martella. Che ha sollecitato un intervento immediato. Intervento che però, a detta della stessa Autorità, è difficile possa arrivare. «Fino a oggi - ha scritto il presidente dell’ Autorità della garanzia nelle comunicazioni, Angelo Cardani - tutte le segnalazioni inviate alle società che gestiscono i servizi di messaggistica tramite App (Telegram, WhatsApp, Viber) si sono rivelate fallimentari».

Una resa totale e senza condizioni di fronte a un fenomeno che è dunque libero di crescere e continuare a erodere mercato e libertà individuali, scrive “Repubblica” che nei mesi scorsi aveva documentato che in Italia non meno di 500mila persone da anni ricevono, attraverso canali Telegram o chat WhatsApp i giornali italiani in pdf. Ogni mattina. Gratis. Su questo si era mossa anche la Guardia di finanza che aveva provveduto a denunciare chi aveva inoltrato le copie pirata dei giornali.

Recentemente “Repubblica” denuncia di aver avuto modo di vedere delle chat in cui a usufruire dei servizi illegali sono anche deputati e senatori della maggioranza di governo.

In questi giorni di isolamento domestico, i numeri sono esplosi. Quasi raddoppiati, secondo i dati della Fieg, sui soli canali Telegram, «siamo passati dai 395.829 iscritti dell’ 8 gennaio 2020 ai 574.104 del primo aprile 2020». I finanzieri dicono che almeno lo stesso numero li riceve su WhatsApp attraverso chat dedicate. «La stima delle perdite subite dalle imprese editoriali è allarmante - scrive la Fieg - In una ipotesi altamente conservativa, si parla di 670 mila euro al giorno, circa 250 milioni di euro all’ anno. Dati che dovrebbero indurre l’ Autorità di garanzia del settore a intervenire, senza ulteriori indugi, con fermezza, con provvedimenti anche esemplari». Con parametri meno conservativi la stima arriva a un miliardo e 175 milioni su base annua.

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