Covid a Como, solo a giugno
la strage si è fermata

In tre mesi almeno ottocento comaschi hanno perso la vita a causa del virus: il 25% in più dei dati ufficiali. Quasi raddoppiati i decessi in città ad aprile, il mese nero delle Rsa. Erba quasi indenne a marzo, poi vittime triplicate

Bisogna per forza trovare un dato positivo, nell’ultima cascata di dati resi noti dall’Istat sulla mortalità nel primo semestre di questo tragico 2020. E il dato positivo è che a giugno la strage dovuta al Covid, che ha colpito drammaticamente anche una provincia tutto sommato risparmiata dal virus, si è fermata. Rispetto alla media dei cinque anni precedenti, infatti, il numero di lutti registrati nel Comasco è quasi invariato: 9 casi in più, appena il 2%, ovvero uno scostamento assolutamente fisiologico. Al di là dei dati ufficiali, che com’è noto intercettano solo una parte (ancorché maggioritaria) dello tsunami che si è abbattuto sulla Lombardia lo scorso inverno, anche la statistica conferma che il Covid ha smesso di uccidere.

La progressione del virus

In alcuni comuni, in realtà, ha smesso di essere letale già da maggio: a Como città, ad esempio (un decesso in meno a maggio, uno in più a giugno rispetto alla media dei cinque anni precedenti); in altri centri, invece, l’onda lunga si è fatta sentire anche dopo: a Erba, in particolare, rimasta quasi indenne fino a marzo (nei primi tre mesi dell’anno nessuno scostamento rispetto al periodo 2015-2019) poi ad aprile decessi triplicati e ancora a maggio +55%.

Interessante l’analisi della progressione della mortalità in base alle zone. Ad esempio, come detto, nell’Erbese (con l’eccezione di Canzo, a causa di una Rsa tra le prime a essere colpite) il virus ha cominciato a mietere le sue vittime solo da aprile. In Brianza, invece, si spostato verso il Nord colpendo prima Mariano Comense (a marzo 22 decessi più che raddoppiati, ad aprile il 60% in più) per poi spostarsi su Cantù. Qui è aprile il mese in assoluto più tragico con il numero di funerali più che raddoppiato e numeri più alti anche nel mese di maggio.

Aprile è anche il mese nero per le Rsa. E a dimostrarlo, anche in questo caso, c’è la progressione della mortalità per zone. Ad Albese a marzo c’era stato un morto in meno, rispetto agli anni precedenti. Ad aprile 12 in più (triplicati). Anche ad Asso i decessi sono praticamente triplicati ad aprile, così come a Beregazzo con Figliaro dove i morti sono addirittura quintuplicati a causa della strage all’interno della Rsa ospitata nel paese. Nell’Olgiatese in generale il virus ha colpito in ritardo rispetto altre zone della provincia: a Olgiate Comasco, ad esempio, a febbraio e marzo si sono registrati complessivamente 2 decessi in più, tra aprile e giugno siamo a 16 in più (numeri raddoppiati ad aprile, +60% a maggio e +55% ancora a giugno). Per contro sul lago l’ondata si è sentita prima: in Tremezzina a marzo decessi più che quintuplicati.

Gli anziani

Ovviamente i dati resi noti dall’Istat confermano che la fascia d’età che più di tutte ha pagato con la vita l’ondata del virus è quella dei pensionati. Il 90% dei decessi in più registrati quest’anno rispetto alla media dei cinque precedenti coinvolge la fascia d’età degli over 65 anni. Nel primo semestre dell’anno 2 pensionati ogni cento hanno perso la vita.

C’è infine un dato che balza all’occhio nell’analisi dell’andamento della mortalità in provincia di Como in questo primo semestre: curiosamente l’anno era iniziato con un bassissimo tasso di decessi, addirittura con un calo di oltre il 10% rispetto alla media dei cinque anni differenti. Segno che, probabilmente, qui i virus davvero è arrivato più tardi che altrove e questo ha fatto sì che la nostra provincia fosse una delle meno martoriate del resto della Lombardia.

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