«Covid, da noi quasi assente
Il vaccino? Sono ottimista»

Silvio Garattini, scienziato e fondatore dell’Istituto Mario Negri, fa il punto sulla ricerca e su quello che ci aspetta. «Il farmaco non deve solo vincere il virus, ma non generare tossicità. Si deve essere quindi certi che faccia bene»

Nel mondo il contagio non frena, siamo tutti in attesa dell’arrivo del nuovo vaccino anti Covid. Gruppi di ricerca, aziende e Stati sono in corsa per arrivare per primi. E in vista dell’autunno ci stiamo attrezzando almeno per vaccinarci contro la normale influenza.

Ne parliamo con Silvio Garattini, scienziato, farmacologo, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri.

Quali aspettative dobbiamo avere?

Inizio con lo spiegare più semplicemente che il vaccino determina quel che fa la malattia senza scatenare davvero la malattia stessa. Quando è in corso un’infezione da virus o da batteri, se le cose vanno bene, il nostro organismo guarisce sviluppando delle difese. Difese che poi funzionano ove la malattia dovesse ricomparire. Il vaccino dunque propone al corpo delle componenti del virus o del battere senza generare l’infezione. La presenza di pezzi dell’agente patogeno determina come risposta la formazione di anticorpi o di linfociti T capaci di aggredire l’estraneo indesiderato.

Stesso funzionamento per l’anti Covid?

Certo, naturalmente non per tutte le infezioni la scienza è riuscita a costruire un vaccino. Ma vista la pandemia e l’elevato numero di morti c’è stato un grande sforzo da parte di tutti. Si sono messi al lavoro circa 150 team di ricercatori. Tutti sperano di ottenere qualcosa di utile. Anche i gruppi più indietro hanno un ruolo importante se i primi dovessero fallire.

Arriveranno primi i russi, gli americani o gli europei?

Leggendo le notizie e le riviste scientifiche è noto che 23 gruppi hanno superato la fase di ricerca sugli animali, indispensabile per provare l’efficacia del vaccino. Adesso possono passare alla fase clinica. Quattro gruppi si apprestano a iniziare uno studio su un campione di circa 30mila persone volontarie. Sono 30mila soggetti da trattare con il vaccino e da controllare per vedere se sviluppano le difese e se c’è un ritorno della malattia in termini di sintomi e di ricoveri.

Ma allora ci vorrà tanto tempo?

Non è detto, in Brasile e negli Stati Uniti ci sono milioni di persone interessate dal contagio. I test sui volontari si potrebbero fare con relativa rapidità.

Allora il vaccino è quasi pronto?

Qualcuno si domanda se le cose non stiano procedendo troppo in fretta rispetto al solito. A questa domanda spontanea si può rispondere facendo notare che tante cose negli ultimi tempi sono cambiate. Una volta per le vaccinazioni si usavano dei virus morti con tutti i relativi problemi connessi. La tecnologia invece oggi permette di separare le strutture e usare solo alcune proteine dei virus. Alcuni vaccini sfruttano le proteine S che stanno sulle punte dei virus e che servono all’agente patogeno per entrare nelle cellule. Sviluppando gli anticorpi contro le proteine S le cellule riescono a chiudere le porte.

Quali vaccini in corsa sono più promettenti?

Si può dire anzitutto che i vaccini in fase di test hanno quasi sempre caratteristiche e ipotesi di partenza diverse. Uno spettro più ampio aumenta le possibilità che nel complesso l’operazione riesca.

Uno funziona sui macachi?

Sì, è una buona indicazione. Il macaco è una specie vicina alla nostra e se con questo animale il vaccino in sperimentazione genera una protezione, è un bene. Presa con le pinze è una buona notizia.

Molto positivo, quindi...?

Quindi per ora abbiamo davanti dei progressi positivi. Ma ogni giorno la strada può cambiare. Perché il nuovo vaccino deve sì vincere il virus, ma al contempo non deve generare tossicità. Si può tollerare infatti qualche controindicazione nel dare un farmaco ad un singolo malato pur di guarirlo, raccogliendo dunque un grande beneficio. Ma qui stiamo per somministrare un vaccino a milioni e milioni di persone sane. Dobbiamo allora essere sicuri che faccia bene, e non è facile.

Come non detto... quindi cosa si fa?

Dobbiamo manifestare ottimismo, ma avvertire che domani lo scenario potrebbe sempre cambiare. I fondamenti scientifici e i fatti restano per tutti uguali, poi ci sono dei pareri e delle accentuazioni diverse sulle ipotesi per il futuro.

Cosa pensa della lettera dei 150?

In 150 tra ricercatori e premi Nobel hanno proposto di dare il vaccino a dei volontari e poi sottoporli in seguito all’azione del virus per vedere se funziona. L’idea, convinto che loro stessi vogliano per primi alzare la mano, solleva degli evidenti problemi etici. La malattia oggi non ha rimedio: il rischio sarebbe troppo alto.

L’Italia arriverà ultima?

Tempo fa con Medici Senza Frontiere abbiamo avvertito il Governo che era urgente muoversi. Insieme ad alcuni Paesi europei sono state poi garantite delle risorse per acquistare una importante quantità di dosi, anche con una produzione che ha sede in Italia. È un bel passo.

Sarà gratis?

Chi sta sviluppando il presidio medico lo sta facendo senza sapere se la malattia si ripresenterà e se altrove resisterà. Il prodotto finale potrebbe anche non servire.

Per la prima volta nella storia il vaccino è in fase di realizzazione in via preventiva, anche senza la certezza che vi sarà una seconda ondata. Stati e fondazioni anticipando le risorse hanno già pagato il vaccino. Quindi sì, mi aspetto che sia gratis. Il privato non ha un rischio d’impresa.

E sarà disponibile per tutti indistintamente?

Non potendo all’istante vaccinare l’intera umanità per ragioni di possibilità pratiche, bisognerà insieme stabilire delle priorità. Penso ai medici e ai sanitari essendo più esposti al rischio. Penso alle persone più in pericolo perché fragili, gli anziani e i malati cronici.

L’epidemia comunque c’è ancora?

Clinicamente al momento da noi è quasi assente, anche il contagio è in forte frenata. Ma altrove questa pandemia globale è forte.

Dall’altra parte del mondo ci sono nazioni duramente colpite. È lì che il vaccino verrà testato, dove è facile avere i numeri per condurre uno studio.

A proposito di studi, uno sostiene che il vaccino antinfluenzale con il Covid fa peggio, è vero?

Sono studi non definitivi. L’antinfluenzale serve con certezza soprattutto a chi soffre di altre patologie, perché anche la semplice influenza, pur in maniera minore, genera mortalità. Di nuovo ad esempio negli anziani cronici. È dunque una vaccinazione importante.

Tanto da renderla obbligatoria?

Questo è discutibile. È raccomandata, può avere un’utilità, ma non di certo uguale per tutti. Economicamente poi sarebbe complicato, anche a livello organizzativo, molto difficile. Inizierei da chi è in là con l’età, dai malati oncologici, dai diabetici.

Se torna il Covid l’antinfluenzale faciliterà la diagnosi?

Con una buona campagna antinfluenzale saranno un poco di meno i malati d’influenza. Ma non vedo in tal senso grandissimi vantaggi. Per accertare il Covid bisognerà comunque fare il tampone.

E i bambini?

I bambini, per l’influenza come per il Covid, hanno reazioni scarse. Io direi di no, salvo i bambini con le difese più deboli.

Ci vorranno sei mesi, un anno o cinque anni?

Tutte le ipotesi sono sottoposte a ciò che sta accadendo. L’autunno però finisce il 21 dicembre, comunque vada. E abbiamo davanti ancora parecchi mesi a disposizione per arrivare ad un vaccino valido e sicuro. Magari all’inizio dell’anno prossimo: non è una speranza irrealistica.

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