«La mia trappola al prete
Ho finto di aver bisogno»

La confessione dell'assassino: Don Roberto disposto ad aiutarlo fino all’ultimo istante. «Ho detto che avevo mal di denti. Lui: ti porto in ospedale. L’ho ucciso»

Generoso con gli altri fino all’ultimo istante. E, nonostante l’ennesima dimostrazione di altruismo e di attenzione da parte di quel prete, Ridha Mahmoudi non ha esitato ad affondare la lama. E a farlo «ripetutamente, fino a quando ho dovuto smettere perché mi ero ferito alla mano». Il killer di piazza San Rocco ha teso una trappola a don Roberto facendo leva sulla generosità del prete: ha finto di aver bisogno di lui, così lo ha avvicinato e ha atteso il momento propizio per colpirlo. Alle spalle.

Davanti ai detective della polizia, qualche ora più tardi, tenterà di dare l’immagine della sua vittima come quella di un uomo implorante ai suoi piedi, che chiedeva scusa e supplicava pietà, ma la verità è che quest’uomo perseguitato dalla folle idea che tutti ce l’avessero con lui ha agito a tradimento, colpendo alla schiena il sacerdote che, ancora una volta, era pronto ad aiutarlo. E a farlo nonostante il giorno prima lui lo avesse aggredito verbalmente, a Porta Torre, accusandolo di averlo messo nei guai, di essere complice di chi voleva solo il suo male.

L’aggressione

«Stava caricando i thermos delle colazioni - dice Mahmoudi, ritornando con il racconto alle 7 di martedì mattino - io l’ho avvicinato dicendogli che avevo mal di denti. Lui mi ha risposto che verso le 10, finita la distribuzione delle colazioni, mi avrebbe accompagnato in ospedale». L’omicida, a quel punto, si ferma ad osservare don Roberto mentre riempie l’auto. «Ho aspettato il momento giusto per colpirlo». E il momento giusto è stato quando il sacerdote era maggiormente indifeso. Piegato per raccogliere un cartone. Il resto è purtroppo cosa nota: la coltellata alla schiena, all’altezza del collo. E poi ancora sulle braccia e sul torace: «Ho smesso di colpire solo perché mi sono ferito anch’io».

La confessione dell’omicida è una vera e propria rivendicazione. E poco importa se nella foga di raccontare e di attribuirsi quel che lui pensa essere un merito, l’aver tolto la vita a un uomo che gli aveva sempre teso la mano, finisce per aggravare la sua posizione. Arrivando ad attribuirsi pure la premeditazione.

«Mi ha tradito»

«Era ormai da qualche giorno che volevo ucciderlo. Ma non avevo ancora deciso quando farlo». La decisione di colpire martedì matura da un lato per la mancata aggressione agli avvocati dell’uomo, finiti pure loro nel mirino. Dall’altro dalla discussione avuta proprio con don Roberto il giorno prima. Quando Mahmoudi lo raggiunge a Porta Torre, durante la distribuzione delle colazioni. «L’ho avvicinato per lamentarmi» dei provvedimenti di espulsione. «Mi ha detto che non era colpa sua, che dipendeva dal prefetto non da lui. Ma io gli ho gridato: “Sei complice anche tu!”».

Anche in quel momento Mahmoud era armato. Ma decide che non era il momento. L’interrogatorio sta per finire. Ma c’è una domanda rimasta in sospeso e il detective della mobile decide che è il momento di farla: ma perché uccidere la persona che ti ha sempre aiutato? «È vero: mi ha dato da mangiare. Ma alla fine mi ha tradito. Sono contento di averlo ucciso».n 
P.Mor.

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