«Perché tanti casi Covid? Queste varianti sono contagiose come il morbillo»

L’intervista Franco Locatelli, p residente Consiglio superiore di sanità. Già coordinatore del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid

La curva del contagio ha fatto «un bel salto», e anche gli ospedali ricominciano ad accogliere nuovi pazienti. L’estate di nuovo alle prese con il virus va però analizzata con l’oggettività dei dati e l’equilibrio della razionalità: così «la situazione non va drammatizzata», ma fondamentale è la responsabilità individuale.

Il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e già coordinatore del Comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Covid, guarda al nuovo orizzonte della pandemia e ne inquadra tutti i fronti. Quelli dell’immediato presente, senza nuove restrizioni ma appunto con la bussola del senso civico di ciascuno, e quelli dei prossimi mesi, con la quarta dose che potrebbe essere estesa agli over 60 (o 50) da fine settembre-inizio ottobre.

Ogni riflessione sgorga dai numeri, e «i dati nazionali - dice Locatelli - indicano che l’incidenza ha avuto un bel salto, aumentando di più del 50%: dai 504 casi ogni 100mila abitanti in sette giorni dell’ultimo monitoraggio, siamo saliti a 763». «Anche l’Rt è a 1,30, quello proiettato sui prossimi sette giorni ha la stima di 1,46. In più, l’occupazione dei posti letto in area medica è al 10,3% mentre la settimana precedente era al 7,9%. L’aumento nelle terapie intensive è invece più contenuto, lì siamo sotto i 300 ricoverati».

Perché le curve sono tornate a salire?

Per più fattori. Circola moltissimo la variante “BA.5”: i nuovi dati ci dicono che rende ragione del 61% del totale dei sequenziamenti genomici, una settimana fa eravamo al 34%. Anche “BA.4” è nell’ordine del 15-16%. Insieme, queste due varianti descrivono più di tre quarti dei lignaggi circolanti. Sappiamo che queste due varianti hanno una contagiosità paragonabile - se non superiore - al morbillo, cioè al virus più contagioso che conosciamo. Aggiungiamoci l’abolizione delle misure non farmacologiche: a parte ospedali, Rsa e trasporto pubblico, l’uso della mascherina è diventato solo raccomandato e non più obbligatorio. Bene ha fatto il ministro della Salute Speranza a dire che deve entrare in gioco il senso di responsabilità civica degli italiani.

Anche le reinfezioni galoppano.

Questo è un ulteriore fattore, che descrive anche la capacità di queste varianti di sfuggire alla risposta anticorpale. Sfioriamo il 10% di reinfezioni, a fine 2021 non si arrivava al 2%. Anche chi è vaccinato o chi ha una pregressa infezione può reinfettarsi.

La situazione è preoccupante o gestibile?

Non va drammatizzata la situazione, perché il dato delle vaccinazioni è molto alto, e in questo modo riusciamo ad avere un’importante protezione dalla malattia grave. Aggiungo un dato: con la terza dose, siamo nell’ordine dell’86% di protezione contro la malattia grave.

La quarta dose però non ha avuto una grande adesione.

Serve dirlo chiaramente: per le categorie per cui è raccomandata, va fatta. Sono sempre stato molto positivo rispetto all’adesione alla campagna nel Paese, i dati sul ciclo primario e la terza dose lo confermano. Quelli sulla quarta dose però non possono dirsi soddisfacenti: siamo poco sopra il 20% per gli anziani fragili e gli ultraottantenni, e attorno al 50% per gli immunocompromessi. Dobbiamo spingere la vaccinazione, senza aspettare i nuovi vaccini: i soggetti fragili, se s’ infettano, rischiano conseguenze anche gravi.

A che punto sono i nuovi vaccini?

Sia Pfizer sia Moderna sono in una fase di valutazione dei vaccini a piattaforma bivalente: il 50% del loro Rna sarà del ceppo originale Wuhan e l’altro 50% della variante “BA.1”. Noi abbiamo chiara evidenza che gli anticorpi indotti dalla vaccinazione con il vaccino bivalente danno una maggior copertura anticorpale rispetto a “BA.4” e “BA.5”.

A chi sarà essere estesa, in autunno, la quarta dose?

Personalmente credo che tutta la fascia dai 60 anni in su vada coperta. Se vi sarà un’eventuale indicazione anche per la decade inferiore, cioè dai 50 anni in su, mi sembra anche questa una scelta ragionevole. Questa è stata l’indicazione data dai Cdc degli Stati Uniti (i Centers for Disease Control, agenzia federale di sanità pubblica, ndr), vedremo quale sarà la posizione degli Ecdc europei e di Ema per la scelta definitiva.

Quando potrebbe iniziare questa campagna di richiamo?

«Tra gli ultimi giorni di settembre e l’inizio di ottobre potrebbe essere una buona tempistica».

Alla lunga, il vaccino anti-Covid potrebbe diventare un appuntamento annuale come l’antinfluenzale?

«Potrebbe anche essere un orientamento. Dobbiamo avere la flessibilità di adattare le scelte su quelle che saranno le evidenze che andranno ad accumularsi».

Quali altri armi abbiamo contro il virus?

Stiamo migliorando nell’uso dei farmaci antivirali, ma c’è spazio per un’ulteriore crescita: sono ancora sottoutilizzati rispetto a quello che possono offrire. L’Aifa e la sua Commissione tecnico-scientifica si sono spesi chiaramente nell’uso in favore dei soggetti over 65. L’Italia ha acquisito 800mila trattamenti con Paxlovid, l’antivirale più efficace: usiamoli, sarebbe poco giustificabile avere trattamenti che poi non impieghiamo.

Visto l’aumento dei contagi, ci sarà il ritorno di alcune restrizioni o si proseguirà sulla strada tracciata?

No, di restrizioni non ce ne saranno: i numeri di oggi non sono tali da supportare questo scenario. Servono sì attenzione e senso di responsabilità: usiamo la mascherina ogni qualvolta serve, anche sul lavoro come misura di rispetto per i colleghi, specie se fragili.

Gli allentamenti sono stati invece troppo frettolosi?

Le scelte sono state pianificate quando non c’era “BA.5”. Sia il ministro Speranza sia noi tecnici abbiamo anzi resistito anche a pressioni per andare oltre, penso alle polemiche strumentali sulle mascherine per la maturità o alla possibilità di non tenere più in isolamento i positivi.

A proposito: è plausibile abolire l’isolamento obbligatorio per chi ha l’infezione?

Sono contrario. Da un punto di vista medico-scientifico vorrebbe dire di far correre ancor di più un virus che oggi determina già oltre un milione di persone alle prese con l’infezione, oltre ai contagi non ufficialmente segnalati, che sono molti. Tutte le scelte di far correre il virus non hanno pagato, si pensi all’Inghilterra.

Per quando è possibile stimare il picco di questa ondata?

Secondo una modellistica derivante dall’esperienza di altri Paesi, verso fine luglio potrebbe essere una previsione ragionevole. Dipende anche da quanto saremo capaci di essere responsabili come popolazione. Su questo, ad esempio, attenzione agli eventi di maggior socialità: feste, matrimoni, concerti.

Sarà tutto sommato un’estate normale?

Molti dicono che il coronavirus ci abbia sorpreso rispetto alle altre estati. Lo scorso anno, però, avevamo varianti molto meno contagiose e misure molto più stringenti.

L’autunno? È difficile da dire, ovviamente bisognerà stare attenti perché ci sarà un clima meno favorevole e i virus respiratori circolano di più. Se non emergeranno nuove varianti e continuerà “BA.5”, potremmo avere percentuali di soggetti più protetti.

Il sistema sanitario, dopo due anni e mezzo di pandemia, come sta?

C’è un problema di presenza di personale sia nelle strutture ospedaliere sia nella medicina territoriale. Purtroppo, la programmazione si è dimostrata non in grado di compensare le uscite. Correre ai ripari non è facile, vanno fatti tutti gli investimenti necessari: i fondi del Pnrr possono esserne lo strumento.

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