«Tragedia che nasce dall’odio
Basta con tutti questi veleni»

Como: la Caritas diocesana: il presidente Roberto Bernasconi: «Spero che il suo martirio dia a tutti in questa città la capacità di mettersi al servizio degli altri»

«Non chiudiamo le porte e smettiamola di odiarci». Il direttore della Caritas diocesana, Roberto Bernasconi, ieri parlando di don Roberto Malgesini ai tanti cronisti accorsi a Como da tutt’Italia ha raccontato di «una persona mite che conosceva i rischi che correva», ha paragonato l’omicidio al martirio spiegando che «la città non ha capito la sua missione».

Il fardello della cura

Secondo Bernasconi questa tragedia nasce dall’odio ed è dall’odio dobbiamo liberarci, altrimenti le tragedie sono destinate a ripetersi: «Spero che il suo martirio contribuisca a svelenire la società», ha detto.

L’accoglienza e la cura degli ultimi sono un fardello che in città pesa quasi interamente sulle spalle della Caritas che si spende insieme alle parrocchie, per esempio a quelle di San Rocco e di Rebbio. «Oggi è un giorno triste per l’intera città di Como – ha spiegato Bernasconi - ora viviamo il tempo del silenzio e della preghiera e non delle polemiche. Ma domani, quelle persone che don Roberto aiutava, saranno sempre lì e avranno ancora bisogno di vicinanza e aiuto. Per questo credo sia necessario recuperare una dimensione di collaborazione fattiva, dove ognuno possa mettere a servizio degli altri quello che è e le possibilità che ha. In modo che assieme si possa ricostruire un cammino di concordia e collaborazione, di fraternità. Perché la paura non ci faccia chiudere le porte e il martirio di don Roberto dia a tutti la capacità di ritrovare lo spazio propositivo all’interno del tessuto della città».

Nel pomeriggio è sempre il direttore della Caritas a dedicare un pensiero più corposo al parroco di San Rocco. «Ricordando don Roberto Malgesini mi viene prima di tutto da sottolineare che non era un battitore libero – ha raccontato Bernasconi - ma faceva parte di questo cammino ecclesiale di servizio ai più poveri della città, insieme alla Caritas e ai suoi volontari e operatori, così come a tante altre persone di diversa estrazione che nella città di Como si occupano di chi vive situazioni di povertà e fragilità. Penso non solo al suo impegno per la distribuzione delle colazioni, alla mensa serale, ma anche a tutte le attività e rapporti personali che don Roberto tesseva con chi vive ai margini. Chi aveva bisogno di un passaggio per l’ospedale o delle medicine, di una coperta o, più semplicemente, di una parola di conforto».

Umile e generoso

Don Roberto è descritto come umile, mite, generoso, ma sapeva essere anche tenace e coraggioso. Al vescovo Diego Coletti come al vescovo Oscar Cantoni aveva chiesto di stare vicino a chi soffre, era la sua missione, la sua volontà.

«Grazie alla sua mitezza e alla sua umiltà aveva una grande capacità di approcciarsi alla fatica della gente – racconta ancora Bernasconi - era un prete che viveva la sua vocazione piena in questa vicinanza umana, più che nelle formalità liturgiche. Lì don Roberto ritrovava il Cristo sofferente. Non è un caso che una delle sue frasi più ricorrenti fosse “Cosa vuole Gesù da me?”. Ma non era, come alcuni possono immaginare, solo un uomo del fare. Ogni mattina, don Roberto si svegliava prestissimo, prima di servire le colazioni si fermava in preghiera a lungo e, spesso, anche in adorazione davanti al Santissimo. Il suo era un fare che si nutriva della preghiera».

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