«Lo smart working. Uno strumento utile ad attrarre i talenti»

Lavoro Deroghe scadute, serve l’accordo con l’azienda. Il consulente Marco Frisoni: «Sbagliato tornare indietro. Con il lavoro agile si conciliano le diverse esigenze»

«Le lancette dell’orologio, in materia di lavoro agile, tornano dal punto di vista normativo a febbraio-marzo 2020».

Ad affermarlo è Marco Frisoni consulente del lavoro, il 31 marzo sono scadute le deroghe per il lavoro da remoto, introdotte durante il Covid, per i soggetti fragili e i genitori con figli under 14 a carico, che finora hanno potuto usufruire della procedura semplificata. La materia torna a essere regolata dagli accordi aziendali. «Salvo future modifiche, ci sono disegni di legge di riforma in tema di diritto al lavoro che potrebbero coinvolgere in alcuni ambiti il lavoro agile, è finita l’ultima coda di normative emergenziali, frutto degli strascichi della pandemia».

Cosa succede dal lato pratico? «Per chi vuole utilizzare lo smart working, con tutti i limiti di una legge, la 81 del 2017, che richiederebbe modifiche importanti, secondo me è poco chiara su alcuni aspetti come la sicurezza e presuppone adempimenti amministrativi inutili, non cambia nulla perché si era già tornati alle regole di ingaggio standard: un accordo individuale tra datore e lavoratore, seguendo il dettato normativo e le discipline che nel frattempo si sono arricchite dei contratti collettivi. Chi si era già adeguato continuerà in maniera duratura con queste modalità».

Le modifiche riguardano una nicchia residuale, i soggetti fragili e i genitori con figli under 14 a carico: «Le categorie coinvolte dovranno rinegoziare con il datore di lavoro la prosecuzione del lavoro da remoto. Le esigenze, importanti, di queste persone non si sono esaurite il 31 marzo. Mi auguro che la scadenza di questi giorni non sia una scusa per tornare indietro, sarebbe un peccato, bisogna andare avanti». In molti casi, nelle categorie di cui sopra, si tratta di telelavoro, collocazione a distanza permanente, perché lo smart working presuppone un’alternanza tra presenza tradizionale e attività da remoto.

La scadenza di questi giorni in ambito privato, nel pubblico le caratteristiche sono diverse, non cambierà l’approccio che ormai è consolidato: «Lo smart working è uno strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che porta a un miglioramento dell’efficienza e della produttività, ma è anche un sistema che rende più attrattivo un posto di lavoro soprattutto per quelle risorse più difficili da trovare sul mercato, che a volte scelgono la soluzione che prevede più flessibilità. È anche un modo per fidelizzare e trattenere i propri dipendenti».

Il discorso è ovviamente dedicato alle attività intellettuali, quelle che possono essere svolte ovunque utilizzando una strumentazione minima.

Cosa vede dal suo osservatorio? «Non credo avremo grossi sconquassi, chi voleva tornare indietro, lo ha già fatto, chi voleva andare avanti, va sempre più avanti. La vera sfida adesso è apportare modifiche normative che rendano più appetibile questo strumento e meno oscuro dal punto di vista di alcuni aspetti e adempimenti, che rallentano la diffusione stessa dello strumento». Stiamo andando verso un ambito dove il concetto di luogo di lavoro, come lo intendevamo tre quattro anni fa, è cambiato: «Esistono realtà aziendali che non hanno più la sede di lavoro fisica. La tecnologia è un acceleratore formidabile di questi cambiamenti, non si può far finta che non sia così. Lavorare da remoto significa focalizzarsi sul risultato e non sul tempo di lavoro, l’approccio non è ancora così avanzato, ma anche le realtà più piccole si stanno portando su discorsi di questo tipo».

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