L’orario di lavoro su quattro giorni. Il modello funziona

Organizzazione Sono positive le prime esperienze, Dipendenti soddisfatti e aumenti di produttività. Ma è difficile l’adozione nelle imprese manufatturiere

«Serve la volontà dell’azienda, in concerto con i sindacati, e la capacità di immaginare una nuova organizzazione dei turni di lavoro. A queste condizioni la settimana “corta” di 36 ore è fattibile anche nel settore manifatturiero e nelle imprese di medie e piccole dimensioni».

È il commento di Gennaro Aloisio, segretario generale Fim Cisl dei Laghi, a fronte di una tendenza verso la contrazione delle ore lavorative settimanali da parte delle grandi imprese del terziario, dove sta sempre più estendendosi il lavoro per obiettivi e attraverso strumenti digitali. L’esigenza della presenza in ufficio diventa sempre più funzionale alle esigenze dei progetti e meno rigidamente normata da orari di ingresso e uscita che stanno perdendo di senso.

Diverso il lavoro nelle aziende di produzione, dove appare decisamente più complicato organizzare il lavoro contraendone gli orari per andare incontro a crescenti desideri di conciliazione vita e lavoro.

In un’organizzazione con la settimana lavorativa di quattro giorni, i dipendenti riducono le ore senza una diminuzione del salario. Le ore vanno dalle 32 alle 36 a settimana durante la settimana lavorativa, il che può significare tre giorni di weekend ogni settimana.

«Ecco magari questo no, non ci si può aspettare che nel ridisegnare un’organizzazione lavorativa in un ambiente di produzione le giornate libere siano sempre il lunedì o il venerdì – precisa con realismo Gennaro Aloisio – ma è vero che l’orario lavorativo può essere distribuito in modo diverso, a seconda delle esigenze. Sappiamo che è una strada praticabile perché durante il covid, quando è stato necessario lavorare sui processi per programmare ingressi scaglionati e presenze distribuite nel tempo, ci si è riusciti senza che le aziende perdessero in produttività».

Anzi, parrebbe vero il contrario: a fronte di una riduzione delle ore lavoro, a parità di stipendio e di obiettivi da raggiungere, la produttività aumenta, almeno secondo le esperienze già realizzate all’estero. La verità è che se si ha meno tempo per fare la stessa cosa e si è più motivati, ovvero gratificati, per farla, la si fa più velocemente e, sarà il futuro a dirlo, magari anche meglio.

Che sia questa la formula per ribaltare il dato molto italiano e poco incoraggiante di scarsa produttività a fronte di stipendi più bassi della media europea?

«Forse quello che si fa in 40 ore si può fare in 36 ed è una spinta verso l’efficienza sia per i lavoratori che per il datore di lavoro – concorda Marco Frisoni, consulente del lavoro in Como – nel nostro territorio, vista la caratterizzazione dei nostri datori di lavoro non ci sono aziende con numeri importanti di dipendenti. Nelle imprese medio o medio piccole i percorsi di flessibilità faticano a imporsi, ma se ne sta sempre più spesso discutendo nelle imprese più importanti e perché il cambiamento si realizzi serve una meditazione da parte di tutti».

Le esperienze italiane da cui prendere ispirazioni sono polverizzate in un’ampia varietà di declinazioni: anche nella manifattura esistono esempi di settimana corta, cortissima, di quattro giorni e mezzo.

«Le prime esperienze a livello nazionale e internazionale ci dicono che concentrare in meno ore spinge a una maggiore produttività perché tutto il sistema è impegnato a perseguire una maggiore efficienza e si realizza una minore dispersione dell’attività lavorativa – aggiunge Marco Frisoni - quindi la scelta di ridurre l’orario di lavoro potrebbe costituire una spinta verso maggiore efficientamento, naturalmente declinato caso per caso».

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