Tessile e AI, i creativi divisi sull’utilizzo

Il confronto Stuart Sartori di Comocrea introduce il confronto promosso da “Imprese” su un tema che rivoluzione la manifattura

Como

Nel cuore della filiera tessile comasca è aperto il dibattito sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, specie nel segmento del ciclo con il maggiore valore aggiunto in termini di creatività. Questo cambiamento solleva perplessità, specialmente tra chi questo mestiere lo vive da molti anni e si è affermato attraverso modalità operative totalmente differenti rispetto a ciò che, pare, si prospetti nel presente e nel futuro. Abbiamo chiesto a Stuart Sartori, presidente di Comocrea, di capire come la tecnologia stia influenzando la professione del designer tessile.

L’intelligenza artificiale è ormai una realtà in molti settori. Qual è la sua prima reazione all’applicazione dell’AI nel design tessile, in particolare qui a Como?

La mia posizione è chiara fin da subito: sì all’innovazione, ma senza sacrificare ciò che rende unico il nostro lavoro. È innegabile che l’AI possa offrire strumenti utili, soprattutto nelle fasi di ricerca e archiviazione. Oggi, con un database ben strutturato, posso fare in pochi secondi una ricerca che prima richiedeva ore. Questa velocità è un vantaggio tangibile. Però, è fondamentale non dimenticare un aspetto: tutta quella rapidità si basa su un lavoro precedente enorme, che consiste nel digitalizzare, catalogare e classificare i dati. Questo processo ha un costo significativo, spesso non adeguatamente calcolato o comunicato, e il rischio è proprio quello di vedere solo il vantaggio immediato, tralasciando il prezzo che si paga a lungo termine.

Gli archivi tessili sono un patrimonio inestimabile per il nostro settore. Come vede l’interazione con l’AI?

Qui entriamo in un punto molto delicato. I nostri archivi sono tesori di storia e creatività, ma contengono anche disegni protetti da accordi di esclusiva, come quelli storici creati per Dior negli anni Trenta. Non possiamo illuderci che l’AI sia una macchina neutra, senza implicazioni legali o etiche. È assolutamente necessaria una consapevolezza profonda sui diritti d’autore, sull’origine dei dati utilizzati per addestrare queste AI e, soprattutto, sulla proprietà intellettuale che questi archivi rappresentano.

Spostandoci sul piano più strettamente creativo, quali sono le sue perplessità riguardo alla capacità dell’AI di generare nuovi disegni?

È proprio sul piano creativo che le mie perplessità si fanno più profonde. Una macchina può effettivamente generare dieci proposte in un attimo, ma la domanda cruciale è: quante di queste hanno davvero la qualità e la sensibilità che cerchiamo? Troppo spesso, questi disegni devono essere rifatti completamente da capo perché privi di quella intuizione, di quella sfumatura, di quella sensibilità che nasce solo dall’esperienza e dall’occhio umano. La creatività, per me, non è un’operazione matematica o un algoritmo; è un percorso complesso fatto di emozioni, di intuizioni inaspettate, persino di sensazioni che portano a colpi di genio.

Lei ha spesso parlato di rischio di standardizzazione del gusto. L’uso diffuso dell’AI potrebbe portare a un’omologazione stilistica nel design tessile?

Assolutamente sì, e questo è uno dei rischi più gravi che vedo. Oggi chiunque, potenzialmente, può acquistare o accedere a quegli archivi. Non parlo solo di competitor come Cina o India, ma anche di aziende turche, culturalmente più vicine al mercato europeo, che potrebbero approfittare di questa “apertura incontrollata” per replicare stili e modelli, erodendo il nostro vantaggio competitivo basato sull’originalità e sul “saper fare” unico.

Oltre alla concorrenza, c’è un rischio di perdita culturale, un’erosione del know-how tradizionale?

Certamente. Questo problema ha radici culturali profonde. Per anni ci siamo riempiti la bocca parlando del nostro ’saper fare’, della nostra tradizione centenaria, di quella capacità unica di creare bellezza e innovazione. Poi, assistiamo a situazioni in cui un’azienda storica chiude e vende il proprio archivio. Con esso, se ne va un pezzo di quella cultura, di quella conoscenza tacita che è stata accumulata in decenni. L’intelligenza artificiale può ricombinare quei dati, può riprodurre motivi, ma li svuota completamente del contesto umano che li ha generati. È una perdita che va oltre l’aspetto economico.

Molti sostenitori dell’AI affermano che l’uomo resterà comunque al centro, utilizzando l’AI come uno strumento. Lei condivide questa visione?

Trovo che sia una formula che fa comodo. Si ripete spesso che l’uomo resta al centro, ma la realtà operativa può essere molto diversa. Se prima servivano cinquanta input, magari basati su esperienze e osservazioni complesse, per creare un disegno, oggi ne bastano tre con l’AI. Domani, forse, basterà schiacciare un tasto e il disegno sarà generato.

Quindi, qual è il suo appello finale, la sua visione per il futuro del design tessile nell’era dell’AI?

Il mio appello è chiaro: non possiamo e non dobbiamo sacrificare la qualità, la sensibilità e la bellezza in nome della velocità e dell’efficienza pura. Il futuro, forse, è già scritto e il mondo si muoverà verso una certa omologazione e automazione. Ma almeno, raccontiamolo per quello che è.

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