Coronavirus: i lombardi
alla prima crociera

Essere lombardi. D’un tratto, per il mondo, la nostra carta d’identità si è ridotta a una parola: “lombardo”. Il che è innegabile ma anche curioso. Dai, quanti di noi, nel presentarsi sotto l’ombrellone o in un meeting oltre confine si sono mai qualificati come “lombardi? “Piacere, Cazzaniga, lombardo…”. Ma neanche il più fedele seguace del primo Bossi…

Eppure, prima ancora che “comaschi” o “italiani”, eccoci “lombardi”. E a chiamarci così è Bruno Vespa come il virologo, il capo di Stato come l’albergatore, Bill Gates come nonna Santuzza. “Voi lombardi…”. Un po’ come quando i bambini del palazzo accanto mi chiesero: “È vostro questo pallone?” E rimasi per un attimo interdetto, perché nel cortile di sotto non ci giocavo quasi mai.

È una situazione insolita, generata da una contingenza ben poco allegra, ma in fondo potrebbe anche valere un’opportunità. L’occasione, più che per una seduta di autocoscienza, per un gioco di società (ovviamente nel rispetto di ogni distanza precauzionale…).

Governatori e rose camune a parte, cosa significa essere lombardi? Sarebbe bello provare a chiederselo scavalcando l’immaginario più consunto, mettendo da parte gli stereotipi del bauscia o del magnapulenta. La realtà ci ha consegnato una sceneggiatura che più spiazzante non poteva essere: il virus che invece di risalire da una periferia degradata di “laggiù”, esplode tra le villette a schiera di quassù. Ma allora lasciamoci provocare dall’inedito scenario! Chiediamocelo: chi sono dunque i lombardi? Anzi, per evitare ogni tono serioso, chi è la Lombardia? Se fosse una persona, chi sarebbe?

Per aiutarci, immaginiamola pure nella sua più naturale cornice: la grande famiglia delle regioni del Nord. Che parentela ha con le altre? Cerchiamo di indovinarlo senza ragionarci troppo. Un po’ come nel gioco “se fosse…”. Dai, comincio io. Il Piemonte… per me il Piemonte è il papà, non c’è dubbio. Coi baffi, occhialuto, accigliato anche quando sorride. Ha la camicia a scacchi e il berretto da escursione. Nel selfie, in primo piano, ha finito per occupare un po’ tutto lo spazio. La mamma? Beh, qui non ci si può sbagliare: è l’Emilia. Ridente, le guance arrossate, nella foto di gruppo si scompone per dare spazio anche agli altri, preoccupata di essere più voluminosa di quanto realmente sia. La Liguria è la cugina. Carina, ginnica, non si tira mai indietro anche nei giochi dei maschi: la si vorrebbe vedere molto più spesso. Il Veneto è il fratellone. Un po’ grezzo, non molto bravo a scuola ma capace di riparare qualsiasi cosa in casa. Il Trentino è indubbiamente il nonno. Con un’eleganza antica, un po’ ricurvo, non ha voluto saperne di appoggiare lo zaino a terra. In fondo a destra, quasi fuori dall’inquadratura il fratello del nonno, il Friuli, uno zio pensoso, con cui non si parla tanto.È bello però osservarlo quando incede regale, anche lungo un sentiero, come se passeggiasse lungo il corso. Ah, da non dimenticare… la nonna, la Val d’Aosta! Nel selfie è stata un po’ spinta a forza. Sorride distante ma benevola. È vestita di scuro con una parure forse eccessiva.

E la Lombardia chi è? La figlia o il figlio? Il nipote o la nipote? La prima incertezza non è da poco: riguarda il genere. Se pensi ai Longobardi, non può che avere barba e muscoli. Se ti fai influenzare dal Poldi Pezzoli, è la femminilità nella sua espressione più eterea. E l’età? Un bambino con gli zoccoli o un adolescente un po’ cazzaro? Uno stagista neolaureato o un impenetrabile dirigente? Non è facile mettere a fuoco. Anche il suo volto… Che faccia ha la Lombardia? In effetti la mappa idro-orografica appesa alla parete delle elementari mi apparve subito connotata da tratti fisionomici: occhi azzurri ben evocati dal nostro lago e da quello di Iseo. La fronte? Sondrio, con la Valtellina che disegna la riga da parte. Le guance: Varese e Brescia. Il naso? Il percorso Bergamo - Monza - Milano (ovviamente la punta) e Lodi. E per finire la bocca: larga e sorridente, da Pavia a Mantova passando per Cremona. Oddio, a ben vedere, non proprio un ritratto rinascimentale. In ogni caso una buffa caricatura, vagamente futurista, capace almeno di raccogliere e consegnarci un “noi” nella realtà piuttosto sfilacciato.

In effetti fa un certo effetto pensare che oggi Livigno sia strettamente associata alla bassa lodigiana molto più di Alessandria o Casale Monferrato. O che per molti Como confini ormai con la zona rossa assai più che con quella rossocrociata… Ma tant’è: lombardi siamo e in fondo non ci spiace proprio. Anzi. A questo punto verrebbe persino voglia di reclamarlo con spavalda convinzione.

Imbarcarci tutti insieme, alla faccia della psicosi dilagante, su un’unica gigantesca nave, coesi nella remata e nell’ardire. Solcare le acque dolci sino a quelle salate, verso un destino incerto ma condiviso. Sfidare la diffidenza diffusa scandendo ben forte “cadrega” dalla poppa alla prua. Incassare con pari dignità il rimbalzo dei porti ostili così come l’incoraggiamento amico. Scherzare con l’autoironia che da sempre ci sostiene, pur mantenendo rigore e serietà… Una scena da argonauti del Terzo Millennio o, se preferite, da fiero melodramma verdiano. Il titolo? È presto detto: I Lombardi alla prima crociera.

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