Democratico il virus?
No, è solo un tiranno

Per prima cosa, un cucchiaino di nostalgia. C’erano tempi in cui alla parola “commissario” lo spirito nazionale si sollevava orgoglioso: siamo nei guai, è vero, impantanati in un terremoto o in un’alluvione, ma ecco che arriva un signore onesto e competente il quale, messa in panchina la squadra dei politici, sempre inconcludenti sotto porta, organizzerà i soccorsi, presiederà alla ricostruzione e farà attenzione a che nessuno porti via la cassa. Un’accezione positiva che la parola “commissario” si guadagnò non tanto per le avventure di Maigret e di Basettoni quanto per gli sforzi di un signore dal tratto distinto: Giuseppe Zamberletti, varesino, moderato in politica ma decisionista nell’assumersi responsabilità gravi. A lui dobbiamo la Protezione civile come la conosciamo.

Oggi purtroppo la reputazione della parola “commissario” è compromessa. Anzi, al solo sentirla qualcuno ha la tentazione di sbattere la testa contro il muro. Eppure, se la parola è decaduta il ruolo che indica rimane nobile e necessario. Sulla base di questa necessità, Guido Bertolaso ha assunto l’incarico di coordinatore del piano vaccinazioni anti-Covid per la Regione Lombardia.

A lui vanno i migliori auguri perché riesca a portare a termine il programma che si è prefisso, annunciato ieri nel corso di una conferenza stampa. Ciò detto, ci permetteremmo di commentare un passaggio del suo intervento. Argomentando con attenzione, e impiegando perfino un eccesso di retorica e qualche sottolineatura superflua, Bertolaso ha rilevato, non per primo, come il comportamento di questo virus sia “molto democratico”. L’idea è che il virus è “democratico” perché colpisce chi gli capita a tiro senza guardare se è ricco o povero, indigeno o immigrato e anche (qui voleva arrivare Bertolaso) se è di destra o di sinistra. Supremamente indifferente alle posizioni di Zingaretti e Meloni, come di Tabacci e di Mastella, il virus ci insegnerebbe che per combatterlo occorre superare certe barricate erette a fini meramente politici.

Giusta la conclusione ma, forse, discutibile la premessa. Il comportamento del virus tanto per incominciare non è un comportamento, perché ciò presume coscienza e volontà, ma a voler applicare a forza la categoria, più che un’inclinazione democratica al Covid va riconosciuta una protervia da dittatore, da monarca assoluto, addirittura da conquistatore.

Il virus impone la sua volontà senza chiedere il permesso a chicchessia, senza sottoporsi ad alcun vincolo di controllo e certamente facendosene un baffo dei sondaggi elettorali. Il suo atteggiamento non ha dunque nulla di democratico, a meno che per democrazia non si intenda uno sguardo che, nel definire la società, tende all’appiattimento e all’indifferenza, ed è incapace di riconoscere i bisogni individuali così come le potenzialità dei singoli.

Se il virus è autoritario, democratico dovrebbe invece l’approccio di chi vuole combatterlo. Perché se è vero che al voto uno vale uno, quando si tratta di arrivare alla popolazione gestendo risorse limitate e comunque per forza di cose distribuite nel tempo, allora l’occhio di chi amministra deve attingere a una cultura capace di coniugare discernimento con umanità, pragmatismo con sensibilità e, soprattutto,si dimostri in grado di ascoltare le istanze di tutti. La democrazia, precisamente.

Così facendo, chi si è fatto carico di tanta responsabilità non scorgerà davanti a sé un ammasso omogeneo di cittadini: al contrario, riconoscerà i più fragili, coloro che più corrono rischi, e procederà di conseguenza. Ancor più democratico sarebbe riuscire a superare l’aperta ostilità tra Regione e governo, incominciata il giorno 1 della pandemia, basata su posizioni preconcette da entrambe le parti e non priva di costi a carico, inutile dirlo, dei cittadini. Cooperare sarebbe veramente democratico: speriamo la crisi di governo ci consegni un esecutivo che, compiuta l’inevitabile distribuzione degli strapuntini, sappia lavorare senza inutili polemiche anche con la Lombardia. I rappresentanti di quest’ultima istituzione, peraltro, potrebbero a loro volta aprirsi all’idea, certo un poco rivoluzionaria, che quando si sbaglia occorre ammetterlo. Dopo tutto, quando la gente collabora per davvero i dittatori cadono. E anche i virus.

@MarioSchiani

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