Giulietta e Romeo, processo assurdo

La storia Due attori all’epoca minorenni - lei aveva appena 15 anni e lui 16 - e una richiesta di risarcimento del valore di 500 milioni di dollari. La ragione? Nella versione cinematografica della tragedia shakespeariana di Franco Zeffirelli sono state inserite fotogrammi delle loro parti intime a loro insaputa

Gli ultimi che ti aspetteresti di trovare nella sala d’aspetto di un avvocato sono proprio loro, Romeo e Giulietta. E non solo per la ragione – banale, trascurabile – che si tratta di personaggi immaginari. Due come loro, dopo aver sofferto tanto per la crudeltà del mondo, dopo aver pagato con il sangue per i conflitti più ciechi che dividono gli uomini, vorremmo credere che facciano delle loro vite un monumento – postumo, purtroppo – all’amore, alla gioia dello stare insieme.

E invece no: eccoli lì. Eccoli che vengono introdotti nello studio del professionista. Dopo le rituali strette di mano, si apprestano a spiegare il motivo della loro visita. “Parlo io, Giulietta” esordisce lui con la sufficienza tipica del maschio rinascimentale, “altrimenti tu fai casino. Siamo qui per fare causa”.

Figurarsi. E per cosa? E, soprattutto, a chi? Alle loro famiglie, i Montecchi e i Capuleti, che divise dall’odio hanno innescato la tragedia, ovvero la morte di due giovanissimi innamorati? Oppure a William Shakespeare, noto anche come “il Bardo”, insensibile a ogni appello alla privacy nello sbattere sulla prima pagina della letteratura il loro amore precoce e sfortunato?

Neanche per sogno: Romeo e Giulietta preferiscono far causa alla Paramount che, nel 1973, finanziò una versione cinematografica dell’opera shakespeariana affidandola alla regia dell’italiano Franco Zeffirelli. Un film che, all’epoca, ebbe enorme successo in tutto il mondo ma che conterrebbe un reato grande come una casa: la scena di nudo che il regista impose a Romeo e Giulietta o meglio, come immaginerete, agli attori Olivia Hussey e Leonard Withing, oggi una signora e un signore di 71 e 72 anni, ma ai tempi due adolescenti di 15 e 16. Per questa scena (nel film ne restano alcuni fotogrammi che mostrano il sedere di lui e il seno di lei), indubbiamente inopportuna se considerata con il metro morale di oggi, ma girata 50 anni fa, i due chiedono 500 milioni di dollari, accusando la Paramount di abusi e molestie sessuali e anche di frode. Secondo la denuncia, Zeffirelli (scomparso nel 2019), dopo aver rassicurato i ragazzi che la macchina da presa non avrebbe inquadrato le loro parti intime, li riprese integralmente nudi e a loro insaputa.

La denuncia, sottolineano i siti d’informazione, arriva ora perché favorita da una nuova legge dello stato della California, dove ha sede la Paramount, che sospende temporaneamente i termini di prescrizione per reati di abuso sessuale su minori, una decisione che sta incanalando verso le corti di giustizia più di una causa, diciamo così, retroattiva.

Romeo e Giulietta – o meglio Olivia e Leonard -, hanno dunque tutte le pezze d’appoggio legali per procedere nella richiesta di danni, ma la questione, evidentemente, non è puramente legale. E’ infatti possibile “scoprire” un reato 50 anni dopo, o, per meglio dire, segnalare come reato un evento che, cinque decenni fa, forse non fu neppure percepito come tale, visto che appena nel 2018, Olivia-Giulietta, affermava in un’intervista a “Variety” che la scena era “necessaria” e che Zeffirelli l’aveva girata “con tatto”?

Oppure bisogna riconoscere come il regista Quentin Tarantino non abbia tutti i torti quando dice, come ha fatto in una recente apparizione televisiva, che oggi “l’ideologia prevale sull’arte”. Tarantino ha delineato una serie di ricorsi storici nella storia del cinema: “Gli anni Cinquanta e la prima parte degli anni Sessanta videro una tendenza in cui qualunque allusione sessuale veniva immediatamente scartata, eliminata, bloccata. Dal 1967 fino a buona parte degli anni Settanta il cinema conobbe invece la spinta contraria: registi e produttori affrontarono quei temi liberamente, perfino in modo aggressivo”. Ecco: il “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli cade in quel periodo e in quel clima: è giusto trascinarlo oggi in tribunale quando quell’humus culturale si è dissolto, quella parentesi è chiusa da tempo, volta dapprima verso una tendenza che potremo definire post-puritana e oggi, addirittura, di ricerca, punizione e cancellazione delle “trasgressioni” di un tempo?

Forse, tutto questo ragionamento è superfluo. Forse “Romeo” e “Giulietta” sono solo due personaggi che, alla faccia dell’amore, hanno fiutato l’occasione di arricchirsi. O forse sono vittime per davvero, e allora si faccia pure il processo alla Paramount. È però il processo alla storia, compresa la storia dell’arte, che non possiamo accettare: mancano i testimoni attendibili, i giudici preparati, e quella che si vuol far passare per burbanzosa serietà moralizzatrice è solo patetica, inutile e presuntuosa volontà di imporre l’ultima moda del pensiero come definitiva e insuperabile e dunque adatta ad essere spalmata, indigesta marmellata, sul tempo e sulle vite degli uomini.

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