Il ritorno del virus
E noi senza certezze

Ricominciare ancora che senso ha? Si chiede Mina in un celebre brano. Ricordate? All’inizio, il Coronavirus (ancora non lo si chiamava Covid che è il suo nome corretto, anzi Sars-CoV-2) era un problema dei cinesi, perché preoccuparsi? Come sembravano distanti e remote quelle immagini di occhi terrorizzati che spuntavano dalle mascherine, di gente adagiata sulle barelle, di strade deserte e spettrali.

Perché la Cina, per chi non l’ha visitata è sempre stato un luogo lontano ed estraneo. Quasi come Codogno, amena località agricola della Pianura Padana dove è spuntato il “paziente uno” del virus. Ma tanto chi ci va mai a Codogno, ci siamo detti. E via avanti come prima. E lui era già tra noi: il Covid. Certo, agiva sottotraccia, non c’erano i bollettini quotidiani e ancora non era stato del tutto smascherato. Poi di colpo è arrivato alla grande e ci siamo sentiti un po’ tutti come l’esercito italiano a Caporetto durante la prima guerra mondiale. Travolti, sconfitti e uccisi senza poter far nulla se non tentare di scappare, di nasconderci, di allontanarci dal nostro prossimo. Da lì il crescendo, con le terapie intensive in overbooking, il farsesco ospedale alla Fiera di Milano del povero Bertolaso pure lui ghermito dal virus, la paura. Gli amici e i conoscenti (per i più fortunati di noi) di cui giungevano notizie di contagi, di ricoveri di morti. I camion militari che lasciavano Bergamo al crepuscolo carichi di salme, il Papa che pregava da solo sotto la pioggia in piazza San Pietro.

Già, che senso ha ritrovarsi con il Covid alle calcagna dopo tanti sanguinosi sacrifici? Siamo davvero strana gente, noi italiani. Prima coscienziosi, rispettosi e ordinati nel lungo lockdown, poi liberi tutti (anche di contagiarsi) con le vacanze che hanno ridato forza al nemico proprio quando sembrava sul punto di alzare bandiera bianca. Noi invece abbiamo abbassato la guardia e soprattutto, specie nei luoghi di villeggiatura dove non la indossava quasi nessuno, la mascherina. Perché quest’ultima è contagiosa come il virus. Se vedi qualcuno che la porta, ti precipiti anche tu a fissare gli elastici dietro le orecchie, altrimenti te la dimentichi e finisce in cavalleria. Anche in Lombardia, dove nonostante tutti i pasticci della Regione e nonostante la tragedia vissuta sembravamo averla sfangata, riecco la pandemia che torna nella valigia delle vacanze.

Ritemprato e forte come prima, non gli par vero al virus di ricominciare ancora. Certo la schizofrenia del popolo è speculare a quella dei suoi rappresentanti. Il governo, dopo la buona prova nei mesi più duri dell’emergenza, appare in balia di ogni vento. Consente l’apertura delle discoteche, scelta più sciagurata che ardita perché allora tanto valeva riportare il pubblico negli stadi. Poi ministri e governatori si accorgono che il ballo è nemico del distanziamento, che lo sforzo respiratorio prodotto nel dimenarsi sulle piste è un’ottima quinta colonna per il “Corona”, e finalmente le chiudono.

Sulla scuola lasciamo perdere. Certo non è facile: gettare la croce sul ministro Azzolina ha poco senso. Però ogni giorno arriva un’idea diversa se non opposta rispetto a quello precedente. C’è chi dice che sarebbe meglio non ripartire gettando le famiglie nello sconcerto. Forse tutti si sono svegliati con troppa calma per accorgersi in tempo che per riaprire servono un sacco di cose che si sarebbero potute e dovute fare prima. Diciamo la verità, anche qui si è ritenuto che ormai il Covid aveva le ore contate, ci si è crogiolati nell’orgoglio del paese modello, quello che ne è uscito prima e meglio di tutti grazie al piglio decisionista dei suoi condottieri, in testa il premier Conte i pieni poteri se li è presi e li ha usati, nel bene e nel male: rosichi pure Salvini.

Avete presente le previsioni di qualche mese su quando ogni regione sarebbe arrivata a zero contagi? In teoria a oggi persino la Lombardia, ultima a liberarsi dal giogo del Covid, dovrebbe avere solo un doloroso ricordo del virus. Invece non c’è territorio al sicuro. Il che contribuisce ad aumentare la nostra confusione, il nostro sconcerto e la nostra paura. Vogliamo parlare degli esperti? Virologi, immunologi, scienziati e vaccinologi ormai sono diventati come i politici, non a caso qualcuno è pure candidato alle elezioni regionali. Ognuno dice la sua, litigano si accapigliano, controbattano, interpretano le tendenze del momento e soprattutto vanno in televisione. Grazie mille, eh. Anche qui servirebbe un minimo di responsabilità. Perché poi uno come in politica sceglie quello che gli va più a genio. E, in questo caso, adegua i propri comportamenti alle convinzioni dell’esperto. Se siete zangrilliani, tanto per intenderci ormai avrete (anche se si spera di no) abbandonato ogni prudenza. Tanto il virus è diventato una mammoletta che non fa più paura. Se invece seguite Andrea Crisanti starete ancora in campana: con la vostra brava mascherina sempre al collo se non sul naso, il gel disinfettante a portata di mano e, quando incrociate uno sconosciuto, sempre ben distanti, magari con l’app Immuni innestata sullo smartphone. Ci sono quelli che ci dicono che siamo come a dicembre, in termini di contagio, solo che allora il virus era un segreto cinese e non ce ne accorgevamo e, soprattutto, non si facevano tamponi e stilavano bollettini sul numero di infetti. Perciò fra tre mesi saremo come a marzo, con le terapie intensive in overbooking e la necessità di togliere la polvere che si è depositata su quel sciagurato reparto allestito nell’ex Fiera di Milano? Forse no perché adesso l’approccio terapeutico alla malattia è diverso. Ma anche di questo doman non vi è alcuna certezza.

Vogliamo parlare poi dei tamponi? Qui ci sarebbe davvero da vergognarsi. È possibile che a sei mesi da pieno della pandemia non si riesca ad averne uno in tempi dignitosi senza doversi svenare con la sanità privata? Non si è stati capaci di organizzarsi o non si è voluto farlo? Bisogna pensare che, ancora una volta l’interesse economico abbia prevalso sulla salute dei cittadini, e nessuno ne risponde? Perché i tamponi di massa sono l’unica arma anti Covid alternativa alla clausura. Dobbiamo credere a chi dice che è in atto una campagna di terrore per spingere tutti, una volta che arriverà, a chiedere il vaccino per guadagnarci sopra? Che, in fondo, il virus ancora in circolazione conviene a qualcuno? Quante domande senza risposta. Questo non va bene.

Il problema alla fine è che non ci si capisce più niente. E nulla fa più paura di ciò che non si riesce a comprendere. Dovrebbero saperlo politici, amministratori, scienziati: tutti coloro che hanno il dovere non solo di contrastare il nemico, ma anche di metterci in condizioni di stare tranquilli. Invece sembra che si muovano nella direzione opposta. Sia che lo facciano consapevolmente per trarne qualche vantaggio economico o elettorale, oppure che davvero anche loro vaghino nelle nebbie, non è comunque giustificabile. Perché, come dice anche l Mina di inizio articolo, l’importante è finire. E l’impressione è che, con il virus non capiterà tanto presto.

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