Il vilipendio di Milva
per negare la logica

Il primo pensiero è stato: non vale più la pena di indignarsi.

Il secondo ha preteso una rettifica: vale sì la pena, specie davanti alla stupidità e soprattutto davanti alla stupidità che, facendo sfoggio di se stessa di fronte a una tomba, si trasforma in qualcosa di così orribile che l’indifferenza, in teoria la risposta più appropriata, non è praticabile, se non a patto di mettere a tacere ogni residua sorgente d’umanità. Accade che Milva, celebre cantante e compagna di lavoro, tra gli altri, di Giorgio Strehler, muoia a 81 anni vittima di una lunga malattia.

Lo scorso 26 marzo si era sottoposta alla vaccinazione anti-Covid e, facendo buon uso della sua popolarità, aveva “postato” sul suo profilo Facebook una fotografia dell’operazione con il commento: “Io mi vaccino perché tengo alla mia vita e alla vita altrui. Fatelo anche voi. Abbiamo bisogno di tornare alla vita di prima, e di abbracciare i nostri cari. Tutti quanti insieme possiamo farcela a sconfiggere questo virus.”

La notizia, sabato scorso, della sua morte – per ragioni, come abbiamo visto, che nulla hanno a che vedere né con il coronavirus né con i vaccini – non ha mancato di scatenare l’artiglieria “no vax”, la quale ha pensato bene di dirigere il tiro su una persona che non solo non può difendersi ma che, oggi, andrebbe ricordata unicamente per i risultati artistici e per il tratto umano.

Invece, allegria, ecco le menti più brillanti della fogna tirar su il crapino: “Ti ha fatto proprio bene questo vaccino vero? E lo hai pure consigliato ai tuoi fan! Complimenti! E buon viaggio”, scrive un tale, probabilmente alzando gli occhi stanchi dagli studi di filologia romanza; “Non lo dovevi proprio fare... un’altra vittima dell’ignoranza e della fiducia mal riposta” gli fa eco un altro, certo da un’aula della Normale di Pisa. Su Twitter, poi, si distinguono due voci caritatevoli: “A quanto pare il rischio è stato superiore al beneficio” e “Anche lei credeva nella scienza”. Va detto, per onestà, che queste porcherie galleggiano in un tale mare di messaggi d’affetto, apprezzamento e cordoglio capace di ridurle a una minoranza meno che risibile. Il loro “contributo” resta però in qualche modo significativo: non in termini statistici, ma sociologici.

L’arroganza e il mancato rispetto di ogni regola basilare della convivenza umana, la prosopopea capace di spingersi al vilipendio dei morti, il rifiuto di accogliere la logica e la verosimiglianza dei fatti, rivelano l’ostinazione a non distaccarsi mai dai propri limiti, a respingere ogni possibile occasione di miglioramento, e sottolineano la cieca determinazione di fare dei suddetti limiti un motivo d’orgoglio, di trasformarli in una malintesa indipendenza di giudizio.

Basandosi sul motto, interpretato con malevola approssimazione, che tutte le opinioni sono degne di rispetto, si vorrebbe fare della castroneria una posizione tutelata dal Wwf il leopardo delle nevi.

La libertà d’opinione ci consente di gridare ai quattro venti che per far crescere le rose occorre annaffiarle con il calcestruzzo? E allora gridiamolo forte!

Tanto, quando l’esperimento fallisce, la stessa libertà ci permetterà di attribuire la colpa del disastro alla massoneria, alla finanza, all’Unione europea e via cospirando.

Poiché opinioni come quella “no vax” non stanno in piedi, l’unico modo di tenerle in circolo è proprio quello di gridarle forte, più forte ancora.

Gridarle perfino in faccia ai morti. Mai davanti allo specchio, però, perché l’orrore di se stessi in quel caso potrebbe prevalere.

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