
I dubbi del fidanzato di Cristina: «Ho sempre pensato a un basista»
Eupilio I ricordi di Carlo Galli, ripercorre in modo lucido le fasi del sequestro del 30 giugno 1975. «Quella sera guidavo l’auto di mia sorella, non la mia: una talpa li informava in tempo reale»
Erba
Se n’è andato mezzo secolo esatto da quella tragica sera del 30 giugno 1975 quando fu sequestra Cristina Mazzotti, poi trovata atrocemente uccisa in una discarica due mesi dopo, ma la dolorosissima storia non ha ancora nemmeno il piccolo conforto della parola “fine”. Non solo perché vi è ancora un processo in corso in Assise a Como si presunti banditi che fecero materialmente il rapimento sulla strada di Longone al Segrino.
Ma nell’aria che avvolge ancora con grande e dolente partecipazione dell’opinione pubblica il “sequestro Cristina Mazzotti” volteggiano ancora inquietanti dubbi, interrogativi, sospetti, conclusioni delle indagini difficili da accettare, soprattutto in persone che vissero molto da vicino, addirittura come protagonisti quella infelicissima vicenda.
Insomma il pensiero rivolto a Cristina non riposa ancora solo su ricordi carichi di emozioni. A sollevare dei dubbi è Carlo Galli, il ragazzo, che era il boyfriend di Cristina, in quei giorni, ed era alla guida della Mini Minor con Cristina e l’amica del cuore quando avvenne il sequestro e per qualche ora fu pure lui, assieme a Emanuela Luisari, ostaggio dei banditi.
Dunque , Carlo, quali sono i dubbi che ti rodono dentro? Hai qualche cosa da dire, dunque?
«Qualche cosa l’avrei proprio da dire. Innanzi tutto la sera del sequestro, mia sorella che era molto gelosa della sua Mini Minor, per la prima volta, la prima volta ripeto, mi prestò l’auto. E nessuno lo sapeva. Mai ero andato in giro con questa Mini Minor. Avevo la mia Volkswagen Cabriolet, il Maggiolone. Mi recai a prendere le ragazze alla villa di Galliano, poi andammo al Bosisio, il ritrovo classico dei ragazzi come noi. Tutto in pochi minuti. Ero con una Mini Minor color blu con il tetto bianco. Mai nessuno mi aveva visto alla guida di quell’auto. Poi andammo a Como, tornammo al Bosisio. Rientrando a casa e fummo bloccati poco prima della villa Mazzotti. Tutto questo è noto, ma mi sono sempre sorpreso come facessero a sapere che quella sera avevo cambiato la macchina. Con il passare degli anni la domanda diventa sempre più pressante».
Qualche supposizione, qualche sospetto, degli indizi?
«Forse sapevano che la sera andavo spesso a prendere Cristina alla sua villa e quindi chissà erano lì ad aspettare. Ma la cosa mi pare assai difficile, Del cambiamento dell’auto si sono accorti solo quando arrivammo al Bosisio»
Un basista?
«L’ho sempre pensato: cera un basista. Una talpa. Dopo tanto tempo ci ripenso e ne sono sempre più convinto. C’era un basista locale che dava informazioni in tempo reale. Ci controllava sicuramente a vista, senza farsi accorgere e forniva le dritte alla banda che aveva pianificato il rapiemento.. Sicuramente già da tempo Cristina era controllata non solo nei suoi spostamenti, nelle sue abitudini, ma anche nelle frequentazioni di amici e dei rapporti che aveva coloro. Si pensi per esempio che il primo contatto telefonico dei banditi per parlare del riscatto fu fatto al padre di un ragazzo che sei mesi prima di me era stato l’amico più vicino alla ragazza. Come facevano a sapere queste cose? C’era un basista molto attento molto preciso».
Tutti questi misteri, sono un tormento ancora dopo tanti anni?
«Più passa il tempo, più ripenso a questi segreti. Gli interrogativi ”di quella sera” sono addirittura rinforzati assistendo al processo attualmente in corso in Tribunale a Como, in cui quei fatti sono stati ripercorsi in modo molto minuzioso».
Carlo Galli racconta anche gli ultimi momenti nel bosco quando i banditi fecero scendere Cristina: «Io non ho sentito cosa è stato scritto e detto più volte, ovvero che i banditi chiesero chi fosse Cristina. La presero a colpo sicuro: «Già ci conoscevano molto bene, e questi pensieri a 50 anni di distanza mi lasciato ancora sbalordito, attonito. Poi sono anche sconcertato per alcune cose accadute durante le indagini».
Sconcertato?
«Sì, sconvolto per il fatto che fu scoperto, mi pare a mezzo agosto o prima, individuato, uno dei banditi , colto dall’teleobiettivo mentre telefonava per il riscatto. Sapevano quindi chi era. E lui era al corrente di tutto perché andava dai complici a portare le risposte della famiglia. Avrebbero potuto prenderlo, fatto parlare, qui sapere dove fossero i capi e quindi risolvere forse il caso. Cristina sarebbe stata salvata».
Com’era Cristina?
«Cristina era una ragazza di 18 anni, con un gran voglia di vivere, era sempre molto sorridente, sempre molto carina, simpatica. Le foto che ci sono in giro non rendono giustizia alla sua bellezza che era una bellezza strana. Era molto gioiosa, più dell’amica Emanuela».
Le amiche mi hanno raccontato che era un po’ riservata, pure misurata.
«Vero , misurata sì, come poteva essere misurata una ragazza di 18 anni. Ho ricordi molto belli».
Non ti chiederò i ricordi belli perché sono certamente tanti, ma quelli più carichi di emozioni, di pathos.
«Quando l’abbiamo vista per l’ultima volta, tirata giù dall’auto dai banditi, lì in piedi, impietrita che ci guardava, ma lo sguardo era nel vuoto. Non sembrava avesse paura. Anche noi non avevamo ancora paura, quella venne dopo. Forse non aveva ancora capito. Poi le hanno messo un cappuccio in testa e non la vedemmo più».
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