Il caso “Corridoni”: «Le stanze dei cucù? Utilissime a mio figlio». Ed esistono da 15 anni

Scuole La madre di un ragazzo autistico che ha frequentato la primaria di via Sinigaglia più di dieci anni fa e un’insegnante di sostegno che lavora nel plesso spiegano l’importanza delle aule per i bisogni educativi speciali

Como

Quando il figlio di Simona Cucchi frequentava la scuola primaria Corridoni, che il Comune ha deciso di chiudere e se possibile di sostituire con autosilo che sorgerà in via Sinigaglia e quindi nell’area dello stadio, le stanze per i bisogni educativi speciali (quelle che il sindaco Alessandro Rapinese ha recentemente definitivo «stanze dei cucù» nel corso del consiglio comunale in cui si è decisa la chiusura del plesso) già esistevano.

La testimonianza

«Mio figlio ora ha vent’anni - spiega Cucchi - ma già quando andava alle elementari c’era uno spazio di questo tipo dove Francesco, che è autistico, poteva apprendere con serenità, e avere spazio per lasciar decantare le emozioni e le situazioni complesse. Quel tipo di stanza poi negli anni è stata migliorata, ma la pedagogia già da tempo spiega quanto sia fondamentale avere luoghi simili nelle scuole». La storia di Francesco, nelle parole di sua madre, è la storia di un bambino seguito passo a passo dalla famiglia e da una scuola popolata di persone formate per stargli accanto. Come Francesca Ballini, insegnante di sostegno da 20 anni e da 14 alla Corridoni, che assistette all’inizio della sua esperienza in via Sinigaglia all’allestimento della prima “aula per bisogni educativi speciali”: «I bambini con bisogni educativi speciali richiedono risposte uniche e studiate caso per caso» racconta, ripensando anche al percorso di Francesco che ha seguito in prima persona. «Non aule ghettizzanti, però» specifica Ballini, spiegando che spesso vengono usate da gruppi di studenti che necessitano di momenti tranquilli in un ambiente strutturato dove lavorare insieme, fare una lettura ad alta voce o anche solo affrontare emozioni complesse, staccandosi dal caos che si può creare in un’aula piena di bambini.

«Non possono essere sostituite da un atrio»

Situazioni in cui il rapporto uno a uno con l’insegnante è essenziale per lo studente con disabilità: «Ricordo un giorno in cui mio figlio stava avendo un “comportamento problema” e sono stata chiamata dalla scuola - racconta Cucchi - Ho trovato le insegnanti di sostegno che lo tranquillizzavano in quella stanza, lontano da sguardi indiscreti. Non so come sarebbe andate altrimenti. Questi bambini hanno bisogno di luoghi strutturati, un atrio o un corridoio non possono sostituire queste aule. L’esperienza alla Corridoni per Francesco e per noi è stata meravigliosa anche grazie a questo». Ma questo è solo uno degli episodi che costellano i ricordi della famiglia di Francesco e che supportano i dati tecnici citati da Ballini e da altri esperti di pedagogia a supporto della tesi per cui le stanze per i bisogni educativi speciali, previste anche da direttive europee e regionali, sono un valore aggiunto ma ormai imprescindibile delle scuole.

L’obiettivo è l’inclusione a 360 gradi

L’obiettivo finale delle “stanze dei cucù”, come spiega Ballini, è quello «dell’inclusione e la didattica tradizionale, quella frontale che si faceva 40 anni fa per intenderci, con 27 studenti seduti ai banchi che si limitano ad ascoltare, non può riuscirci. Servono spazi e strategie specifiche, che non sono sacrificabili». Il timore delle famiglie i cui figli frequentano oggi la primaria di via Sinigaglia (sono 18 i bambini con disabilità attualmente iscritti su un totale di 210 studenti) è che nelle scuole proposte come sedi alternative per gli studenti della Corridoni, in primis la scuola Foscolo che attualmente ospita solo gli studenti delle medie, non abbiano spazi a sufficienza per garantire un servizio diventato, da quindici anni a questa parte, essenziale. Il sindaco Alessandro Rapinese ha assicurato, nel corso del consiglio comunale durante cui è stata discussa la delibera sulla chiusura di alcuni plessi, tra cui la Corridoni stessa, che Palazzo Cernezzi si occuperà delle esigenze degli studenti con disabilità.

A lasciare il segno e a far discutere, dentro e fuori dagli ambienti scolastici, è però l’espressione scelta dal primo cittadino per definire queste aule in cui la didattica diventa inclusiva e completa.

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