Movida e diritto al riposo dei residenti. La Cassazione: i Comuni paghino i danni

La sentenza I giudici della Suprema corte accolgono un ricorso di una famiglia bresciana - Il pronunciamento potrà ora essere utilizzato in ogni città con gli stessi problemi di rumore

Como

I residenti dei quartieri della movida possono chiedere il risarcimento dei danni alle amministrazioni comunali «che non garantiscano il rispetto delle norme di quiete pubblica e di conseguenza non tutelino la salute dei cittadini». È quanto ha stabilito in questi giorni la Corte di cassazione all’esito di un lungo procedimento incardinato più di dieci anni fa a Brescia, quando una coppia di residenti - non due qualunque, lui, Gianfranco Paroli, era il fratello dell’allora sindaco Adriano, attuale senatore di Forza Italia - fece causa al Comune invocando un risarcimento acconcio al tormento che le derivava dall’abitare in una via di quelle più battute dalla movida bresciana. Trattavasi, per la cronaca, di via Fratelli Bandiera, quartiere Carmine, sorta di piazza Volta bresciana, un altro di quei posti in cui alle prime avvisaglie di disgelo si smette di vivere per tirare a campare fino a quando l’inverno fagocita l’autunno, e il freddo costringe i fracassoni verso altre mete.

Scrivono i giudici che «la tutela del privato che lamenti una lesione del diritto alla salute (costituzionalmente garantito) è incomprimibile nel suo nucleo essenziale sulla base dell’articolo 32 della Costituzione, ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà, che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento, cagionata dalle immissioni (acustiche) intollerabili, provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la pubblica amministrazione è proprietaria)».

«La pubblica amministrazione - si legge ancora nel provvedimento - è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, può essere condannata sia al risarcimento del danno patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un “facere”, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità». In realtà, già i giudici di primo grado avevano accordato ai residenti un pieno diritto a un risarcimento, imponendo al Comune di intervenire con un servizio di vigilanza serale che da maggio a ottobre impedisse la formazione di capannelli e assembramenti di quelli che tormentano il sonno dei residenti.

Poi però in appello la sentenza era stata ribaltata, prima della voce definitiva dei giudici di Cassazione, che in questo modo mettono a disposizione dei residenti uno strumento che, come si dice, “fa giurisprudenza”, e che in altre parole potrà essere utilizzato da tutti i residenti di tutte le piazze Volta d’Italia. Tra l’altro, come si ricorderà, anche a queste latitudini un residente di viale Geno (piazza De Gasperi) istruì una causa analoga contro il Comune e i gestori dei locali della zona: a gennaio, il ricorso approdò in appello, i cui giudici confermarono il pronunciamento di primo grado, che obbligava baristi e ristoratori a staccare la corrente dei loro déhors entro le 23. Nell’occasione il tribunale contestò al Comune anche una condotta illecita ritenuta «concausativa del danno»: in altre parole Palazzo Cernezzi aveva ignorato l’esito dei rilevamenti fonometrici eseguiti da Arpa, che già nel 2012 sancivano l’ampio superamento delle soglie di legge. Si parlava, per piazza De Gasperi, di un eventuale ricorso in Cassazione. La possibilità resta, ma la sentenza di Brescia riduce al lumicino i margini di successo.

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