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Martedì 04 Novembre 2025
Sinigaglia: «Io con Galeone. Mi voleva al Pescara»
Intervista L’ex giocatore in omaggio all’allenatore prova a riscrivere la storia. In un rapporto tra il tecnico e la squadra azzurra che non fu tutto da buttare
Como
Stagione 1989-90. Quelle 18 partite di Giovanni Galeone sulla panchina del Como. Il maestro di calcio che ci ha lasciato l’altro ieri, stimato, applaudito, persino idolatrato in tutta Italia, tanto da farne un personaggio da film, tranne che a Como. Protagonista di una parte di stagione disastrosa, subentrato dopo 12 giornate a Vitali in B, incapace di dare la scossa, e caratterialmente troppo diverso dai comaschi perché potesse scoccare la scintilla. Se ne andò un sabato, alla vigilia di un 1 aprile che sembrava davvero uno scherzo, prima di un Como-Barletta, piantando in asso tutti, senza dire una parola. Di quel Como che poi sarebbe finito in C, faceva parte anche Marco Sinigaglia, ancora oggi comasco di frequentazione, che oggi, in omaggio all’allenatore prova a riscrivere la storia. In un rapporto tra il tecnico e la squadra azzurra che non fu tutto da buttare.
Se ne è andato Giovanni Galeone.
Eh sì. Sono addolorato. Sapete cosa ho fatto stanotte?
No.
Mi sono studiato alcune cose vecchie di quella stagione. Ho frugato nel cassetto dei ricordi. Una stagione indigesta.
Marco Sinigaglia prodotto del settore giovanile che era pronto a decollare.
Arrivavo dall’87 88 da San Benedetto. Poi un anno in A con un grave infortunio. E quell’anno in B in rampa di lancio. Feci 28 presenze, non male.
L’anno di Galeone.
Fu una stagione disgraziata. Di quelle stagioni che non si raddrizzano, che puoi mettere in panchina chi vuoi, ma non c’è verso di far funzionare le cose. Tipo la Fiorentina quest’anno, almeno sinora..
Com’era Galeone?
State chiedendo alla persona sbagliata. Oppure giusta, decidete voi. Ero tra i suoi pupilli, mi faceva giocare sempre. Addirittura mi ricordo che mi spostò di ruolo, a un certo punto mi mise a fare il centrale di centrocampo, che non era proprio il mio, ma insomma voleva dire che si fidava.
Non riuscì a risollevare il Como, dopo essere arrivato al posto di Vitali.
Faceva un gioco d’attacco. Un 4-3-3. Ma non funzionò. Con Maccoppi, con cui ci sentiamo ancora spesso, ci chiediamo come abbiamo fatto a retrocedere com quella squadra. C’erano Mannari, Annoni, Milton, Centi, Giunta... Impensabile. E anche Bobo (Maccoppi, ndr) dice sempre che quella stagione si era anche divertito, non nel senso dei risultati, ma nel senso di fare calcio.
Como ricorda Galeone negativamente, dal punto di vista della stagione lariana.
Ma non è vero. Cercò di farci giocare, ma non andava dentro. Mi ricordo a Barletta un doppio palo, cose così. Se vai a vedere i risultati, è vero, una sconfitta dietro l’altra. Ma poi vai a vedere gli highlights.... Ecco ieri notte mi sono rivisto Como-Triestina 1-2. Noi 25 tiri verso la porta, loro due tiri e due gol...
Che tipo era Galeone?
Era un uomo speciale. Un maestro. Anche di vita. A parte il calcio, aveva mille interessi, l’arte, il vino, la cultura. Lo chiamavano maestro perché insegnava, non si limitava ad allenare. Giocava le partitelle con noi, fermava l’azione, cercava di spiegare questo e quello.
Eppure con parte della squadra non legò.
Si, con qualcuno non legò.
Tipo Milton.
Mah, il suo credo era quello che secondo cui la palla dovesse... cantare. Nel senso che non doveva tanto correre l’uomo, ma il pallone. Milton, per indole, era uno che amava portare il pallone, forse per quello.
Sinigaglia invece...
Ero un suo pupillo. A un certo punto mi disse che avrebbe voluto portarmi a Pescara con lui. Diceva che potevo giocare ovunque. Pensava che la mia visione di calcio fosse simile alla sua. Volete che esageri? Mi sono messo in testa che quello che voleva fare con me, poi lo fece con Allegri. Cui diede le chiavi in mano del suo Pescara e che poi lo condusse a diventare allenatore. Per fortuna che lo ha fatto con Allegri perché è un grande allenatore.
Vitali, che aveva allenato per le prime dodici giornate, era un altro tipo di persona.
Vitali era uno molto calmo. La società, nel cambiare, cercò un altro tipo di persona, un istrione, uno che potesse dare la scossa. Ma non cambiò nulla. Galeone era uno che parlava diretto, che diceva le cose in faccia, ma cercava anche il dialogo, non era morbido, ma cercava di entrare nella testa dei giocatori con la sua filosofia che era fatta anche di ragionamenti fini.
Se ne andò senza salutare la squadra.
Sì, non vedemmo più. Qualcosa si era rotto con il gruppo ma non ricordo bene.
Disse che giocavate da cani e che se la società aveva cambiato sette allenatori forse la colpa era vostra....
Davvero, non ricordo un muro contro muro e non ricordo nemmeno quelle parole. Per me dal punto di vista del rapporto e della conoscenza, fu una esperienza positiva in una stagione calcisticamente drammatica. Vincemmo due partite di fila, sembrava ci fossimo svegliati, ma poi perdemmo ancora. Arrivò Massola per le ultime di campionato.
E Sinigaglia?
Mi volevano in serie A, la Sampdoria la più vicina, ma il Como decise di tenermi, di farmi fare un po’ il centro del progetto e mi diedero anche la fascia di capitano per l’anno successivo. Ma dopo poche partite ebbi il secondo grave infortunio e addio. Però il Torino non mollò e volle acquistarmi lo stesso.
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