Tenconi: «Io ancora in piedi, sono fermo ai box. Ma tornerò in moto»

Intervista con l’ex pilota e icona del motociclismo. «Mi hanno investito, ma non come quella volta a Riccione nel 1965...»

Quei quaranta gradini fuori da casa sua sono una sfida. Una nuova sfida. Come quando abbassava gli occhialoni e affrontava la pista in moto per cercare un nuovo record. Adesso la pista sono quei gradini. Lui è Angelo Tenconi, ha 91 anni, icona del motociclismo comasco e oltre. A febbraio è stato investito da uno scooter. Quattro mesi di ospedale e due operazioni per fratture varie a una gamba. Ora è tornato a casa. Il bello è (fantastici motociclisti) che sta affrontando tutto come se dovesse tornare in gara, lo sguardo che guarda lontano come in griglia di partenza, due battute di spirito, e quei quaranta gradini che prima o poi riuscirà a percorrere senza l’aiuto della moglie Mariuccia o della stampella. Siamo andati a trovarlo, a casa, e abbiamo trovato un Barry Sheene, un Giacono Agostini, un Valentino Rossi, un Marc Marquez, nello spirito, nella grinta, nel coraggio, nell’ironia.

Come va, Angelo?

E come vuoi che vada? Sono fermo ai box. Investito da una moto, ti rendi conto? Una mia amata moto. Oddio, era uno scooter tre ruote.. va beh, sempre della famiglia.

Sei in piedi.

Quattro mesi di ospedale, due operazioni, adesso ho la stampella. Ma mi fa male. Ho delle lesioni al ginocchio che non si calcificano. Ai dottori ho detto: porco cane, non si può buttare dentro un po’ di calce? Non riesco a piegarla. Sarà ancora lunga, mi hanno messo un perno lungo venti centimetri. Dovrò toglierlo.

L’incidente?

Sono uscito dall’ufficio, dove ho le moto, poche centinaia di metri da casa mia. Ho attraversato la strada, come ogni sera. Per andare dalla vetrina del negozio (lo chiama così, ma è un ufficio con scrivania, reperti storici del Moto Club Como e moto di ogni epoca, ndr) al muro di fronte, dall’altra parte della strada ci metto undici passi. Al decimo: sbam. Preso in pieno. E meno male che ero al decimo passo. Se fossi stato all’undicesimo, sarei stato già girato di schiena rispetto all’investitore, mi avrebbe preso da dietro e oggi non sarei qui.

Come è andata all’ospedale?

Ho detto: non chiamate i dottori che hanno operato Marquez, eh... Perché lì mi sa che gli hanno montato storto il braccio, ci ha messo anni a tornare. Ma poi, siccome è il più forte, adesso che sta bene, batte tutti. Guardo tutto in tv, come sempre.

In carriera quante volte è successo di farti male?

Mica tante volte. Una volta ci ho rimesso l’omero, la spalla non so quante volte. Andavamo a sviluppare i motori a Monza, e prima del curvone o prima della Parabolica, dopo tanti secondi di motore in pieno, capitava che si rompessero, e sai che voli... Ma la volta peggiore è stata a Riccione nel 1965.

Racconta.

Era la Temporada Romagnola, si correva nei circuiti cittadini sulla riviera, sono caduto durante un duello, l’avversario ha allargato e mi ha spinto fuori. Sono rimasto in mezzo alla pista. Mi hanno messo su una balla di paglia. Poi in ambulanza urlavo: legatemi alla barella che volo per terra. Mi ero rotto dietro, le vertebre cervicali. Non mi muovevo più. Mi hanno messo in trazione con la cintura dei pantaloni sotto la gola ancorata alla spalliera del letto e una ingessatura che partiva dalla testa al bacino. Sono svenuto due volte per le bende calde. Mi dicevano che non mi sarei mosso per sei mesi ma dopo pochi giorni ero in giro con un girello per il corridoio dell’ospedale. Il primario entrò e disse ai compagni di camera: ecco, vedete? Questo è un esempio di voglia di guarire.

Poi?

Poi andai all’Aermacchi a chiedere una moto, ma non me la diedero. Allora mi inventai che non era per me ma per un mio amico svizzero. Poi scoprii che aveva telefonato mia mamma implorando di non darmi la moto (si commuove, ndr).

La prima gara?

Una gimkana ad Appiano Gentile, sarà stato il 1949. Non sapevo nemmeno cos’era, una gimkana. Mi invitarono perché ero uno che andava forte. Allora rubai il Guzzino dal garage di mio padre. Primi metri a spinta, in silenzio per non farmi vedere. Quando arrivai lì, mentre ero accovacciato a guardare un motore, vidi due scarpe grosse di un uomo. Era mio padre. Che mi disse: Quindi?

Come finì?

Non sapevo nemmeno come funzionava tra i birilli. Ma vinsi.

Tante vittorie. La più bella?

Aver sposato Mariuccia (che è lì accanto e scoppia a ridere, energica e sprint come lui, ndr). Quando l’ho conosciuta e ci siamo fidanzati ho smesso di correre. Ma un paio di gare ha fatto in tempo a vederle.

Il brivido più grosso?

A Monza, quando facevo il record dell’ora. A duecento all’ora sulla sopraelevata, se succedeva qualcosa eri morto. Io e Vittorio Brambilla. Una volta si fermò convinto di essere stato sorpassato da un passerotto. “Se mi sorpassa un passerotto, vuol dire che sto andando piano”. Invece era un pezzo di gomma che si era staccato. Se non si fermava...

Perché il Topolino sul casco?

Come Masetti, ma il mio era diverso. Sai cosa mi successe una volta?

Dicci.

Ero a Roma con il Moto Club, Anni Settanta, dovevano premiarci. Il presidente doveva andare a trovare il Cardinale Biffi segretario generale di San Giovanni Laterano. Apre il portone, e gli fa: ti presento Angelo Tenconi. E lui: Chi? Il Topolino volante? Era di Mendrisio e vedeva sempre i cartelli in giro con la mia foto e il mio soprannome per il Generoso.

Quante gare in salita...

Guadagnavo il doppio, i soldi mi servivano per le corse

Curiosità in salita?

Quella volta che mi trovai Mike Hailwood alla partenza della gara del Generoso. Mi guardò correre mi disse: tu noi sei a posto. E io risposi. Perché, tu sì? E scoppiammo a ridere. Grande Mike.

Rimpianti?

Che siano finite le gare rievocazione che organizzavo io. “Quanto ci hai fatto divertire”, mi telefonano ancora oggi.

I piloti di oggi?

Matteo Andreotti è fortissimo. E’ un grande nel motard, può sognare il mondiale. Ma io lo vorrei vedere in pista. L’ho detto a Lorenzo Mauri, del Team Motocorsa: fagli fare un test, va forte.

E il tuo sogno?

Fare i 40 gradini e tornare a guidare una moto. Sono lì che mi aspettano.

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