E-commerce: rivoluzione
silenziosa nei consumi

I tre mesi di lockdown hanno modificato le abitudini d’acquisto degli Italiani, imprimendo la svolta online Secondo Valentina Pontiggia del Politecnico è l’inizio di un processo strutturale per domanda e offerta

L’eCommerce ha subito un’accelerazione epocale in Italia durante il periodo del lockdown. Ne abbiamo parlato con Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano.

A quali fattori si deve l’esplosione del commercio online negli ultimi tre mesi?

Nei beni non di primaria necessità, il fattore principale che ha favorito l’accelerazione dell’eCommerce è stata la chiusura di migliaia di negozi fisici su tutto il territorio italiano dopo il decreto dell’11 marzo. Nei beni di primaria necessità, seppur i negozi fisici fossero aperti, migliaia di italiani si sono riversati sul canale online».

La ragione?

«L’eCommerce è stato percepito come l’opzione più sicura e comoda perché dava la possibilità di non uscire di casa e di evitare code interminabili. Lato offerta, il digitale per molti retailer ha rappresentato l’unica possibilità per sopravvivere, per mantenere la relazione, in alcuni casi intensificandola, e per creare valore (e non solo vendite) con i propri consumatori.

I piccoli negozi, gli agriturismi, i micro produttori si sono mossi subito molto bene nel commercio on line.

«C’è stato un atto di moto significativo di tantissimi operatori, indipendentemente dalla dimensione aziendale. Durante la crisi abbiamo visto cadere una dopo l’altra le barriere all’innovazione che per anni avevano bloccato lo sviluppo della strategia digitale del commercio italiano. Molti negozi fisici, anche di piccola dimensione, si sono avvicinati per la prima volta all’eCommerce. La soluzione più immediata è stata l’utilizzo di soggetti terzi già presenti online. Sono diversi i ristoranti che hanno digitalizzato la propria offerta di piatti pronti attraverso piattaforme di food delivery e tanti i supermercati che hanno attivato l’eCommerce mediante alleanze con piattaforme che già da tempo abilitano (dal punto di vista tecnologico e operativo) la spesa online. Ancora più numerosi i negozi di quartiere che hanno iniziato a lavorare con strumenti digitali meno evoluti dell’eCommerce, ma ugualmente interessanti, come ad esempio i tanti punti vendita di vicinato (negozi di alimentari, ortofrutta, gelaterie, pasticcerie) che hanno attivato la presa dell’ordine via whatsapp o per telefono.

L’eCommerce ha dato concretezza speciale al fenomeno Onlife: offline e online interconnessi. Cosa ha accelerato questo processo?

«Da anni come Osservatorio diciamo che il ritardo dell’eCommerce B2c in Italia è dovuto in prima battuta a uno sviluppo lento dell’offerta online. Prima del Covid-19 solo due italiani su tre potevano, potenzialmente, fare la spesa da supermercato online e solo uno su due ordinare cibo pronto a domicilio. Il consumatore, grazie anche allo smartphone, ha infatti sviluppato da anni comportamenti (anche di acquisto) omnicanale, ossia che si basano sull’utilizzo fluido di canali digitali e fisici. E però vero che durante il lockdown le nuove esigenze (e paure) dei consumatori hanno fatto cadere alcune barriere all’utilizzo dell’eCommerce (e dei pagamenti digitali) degli italiani. Si è costituito un vero e proprio circolo virtuoso: più offerta di prodotti online che attrae più domanda che spinge nuovi attori ad andare online...

Quali settori merceologici trarranno più vantaggi dall’eCommerce?

«In prima battuta è doveroso dire che l’eCommerce è un mestiere difficile: servono investimenti, competenze e nei comparti di prodotto non bisogna sottovalutare le operations. Fare eCommerce richiede impegno e una macchina operativa perfettamente funzionante ed efficiente: processi ottimizzati di picking e di trasporto, soprattutto quando parliamo di spesa da “supermercato” (che per onor di cronaca è costituita mediamente da 50 pezzi, di basso valore unitario e che richiedono trattamenti speciali come il trasporto a temperatura controllata). Nell’eCommerce ci aspettiamo una crescita significativa di tutti i principali comparti di prodotto, soprattutto di quelli che sono definitivi emergenti, ossia che hanno sviluppato una presenza online in tempi recenti. Sono settori che online sono pochi maturi – hanno un basso tasso di penetrazione (rapporto tra gli acquisti online e gli acquisti totali (online e offline) – e un tasso di crescita superiore alla media. Parlo ad esempio del Food&Grocery (1,6 miliardi di euro nel 2019, +42% rispetto al 2018 e 1,1% di penetrazione) e dell’Arredamento e home living (1,7 miliardi, +30% rispetto al 2018 e 8% di penetrazione). E poi ancora del Beauty, della Farmacia, dei Giocattoli online.

Che spesa è quella dell’eCommerce? Meditata o compulsiva?

«Dipende. Online hanno avuto e stanno avendo successo alcune iniziative che insistono sulla leva prezzo e spingono l’acquisto d’impulso prevedendo ad esempio degli sconti elevati per periodi limitati di tempo. Sempre più vediamo però nei consumatori italiani dei comportamenti d’acquisto più consapevoli e maturi. Tali atteggiamenti parlano di una scelta dell’online in funzione non del prezzo ma del servizio, come la ricerca di una maggior comodità o la possibilità di accedere a una gamma di prodotti-servizi più ampia. Estremizzando poi potrei dire che il consumatore, digitalmente evoluto, sempre più prescinde dal canale di acquisto: non si focalizza sul mezzo, sul canale ma sceglie in funzione del prodotto e dei servizi che sta cercando. Può ormai essere indifferente per lui comprare online o in negozio.

Quali i margini di sviluppo dell’eCommerce, in era Covid e oltre?

«Già nel 2019 l’eCommerce era motore di crescita per tutto il Retail (online e offline). Pur rappresentando ancora solo il 7,3% del totale degli acquisti degli italiani, spiegava infatti il 65% dell’incremento dei consumi degli italiani. In questi giorni di emergenza tra le tante domande che ci siamo posti sugli effetti e sulle mutazioni che ci attendono nel mondo del commercio, c’è stata a mio avviso una certezza; la vicinanza che i canali online e fisico, in tutti i principali comparti, hanno dimostrando con forza in questo momento difficile.

Quali fattori limitavano fino ad oggi il ricorso agli acquisti online?

« Mi vorrei concentrare su un aspetto strutturale spesso sottovalutato, ossia l’estrema frammentazione del tessuto commerciale italiano. La densità di imprese commerciali per km2 della nostra penisola è 1,4 volte la media europea. In aggiunta, l’azienda Retail in Italia ha mediamente 3 dipendenti (contro 4 in Francia, 10 in Germania e 13 in UK) e fattura circa 0,3 milioni di euro in un anno (contro 0,6 milioni di euro in Francia, 0,8 in Germania e 1,25 in UK). Queste caratteristiche rallentano il processo di trasformazione digitale del Retail per almeno tre motivi: 1) Estrema difficoltà a sviluppare le adeguate competenze e ad attrarre capitali di investimento, indispensabili per guidare e sostenere un percorso lungo e difficile. 2) Necessità di trovare nuovi riferimenti nei modelli di vendita. 3) Freno al cambiamento. La presenza sul suolo italiano di una rete di quasi un milione di esercizi commerciali (negozi e ristoranti) rallenta l’abilitazione di modelli di consumo omnicanale, fortemente richiesti da una fetta importante della popolazione italiana».

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