Fase 2, sfide e cambiamento
«Una spinta da governare»

Matteo Motterlini, filosofo dei comportamenti ed economista, analizza i fattori chiave per gestire la ripartenza. I rischi: le trappole mentali. Le regole: esperimento a cielo aperto. La posta in gioco: riportare la persona al centro

Cambiamento. Non c’è parola che esprima meglio il senso della Fase 2 verso la quale il sistema economico sta incamminandosi, con il resto del Paese, tra molte incertezze e lo slancio di una ripresa possibile. È un momento elettrizzante, per certi versi, specie se visto nella prospettiva delle scienze comportamentali, di cui il professor Matteo Motterlini, 53 anni, è uno dei più brillanti accademici.

La sua prospettiva, oggi, è più che mai suggestiva perché, come ci ricorda: «L’azienda è il luogo ideale per applicare le scienze comportamentali. Quanto si apprende da esperimenti controllati e dal confronto con i dati non è mai scontato e può cambiare le regole del gioco».

Professor Motterlini, la Fase 2 è quasi pronta ai blocchi di via per le imprese. Cosa non sarà più come prima?

«Quando le aziende potranno riaprire la situazione sarà molto diversa da quando si sono trovate a gestire il lockdown, soprattutto in termini di abitudini e di comportamenti. Quindi bisognerà mettere in atto nuove pratiche che cambieranno profondamente la routine e quello che si è sempre fatto, a partire dai trasporti per raggiungere l’ufficio o l’azienda, al modo di comportarsi nell’attività produttiva, alla gestione delle mense.

Possiamo chiederci che tipo di aiuto in più, in questo momento, possono dare le scienze comportamentali. Ci sono molti studi che dicono come possiamo organizzare l’ “architettura” delle scelte, riorganizzando l’ambiente di lavoro/produttivo anche in termini di design, per aiutare le persone a comportarsi in modo di prendere decisioni virtuose. Buona o cattiva che sia, l’architettura delle scelte è dilagante e inevitabile, e influenza le nostre decisioni. E c’è sempre un architetto dietro. Si è sempre spinti, più o meno gentilmente, a fare qualcosa. Come la struttura di un edificio pone vincoli fisici alla possibilità di muoversi e interagire con esso, così il modo in cui è predisposto lo spazio (mentale) delle scelte influisce su come ci orientiamo al suo interno e pertanto sull’esito finale delle nostre decisioni».

Può fare qualche esempio di architetture delle scelte in un’azienda che riparte con l’attività

«Molti interventi di economia comportamentale dimostrano come possiamo, attraverso l’uso di dispenser per le mani, collocati in posti salienti e messaggi appropriati, incentivare l’utilizzo dei medesimi o, ancora meglio, lavarci più spesso le mani con acqua e sapone. Si sa, per esempio, che una stazione di igiene molto ben posizionata che attiri anche attraverso il profumo dell’igienizzante, aumenta anche il numero delle persone che si lavano le mani. Così come si possono riprogettare gli ambienti per facilitare il distanziamento. O promuovere l’uso della bicicletta per migliorare la mobilità».

Lei è consulente da anni del mondo imprenditoriale, anche lariano. Che domande le stanno facendo le aziende alla vigilia della ripartenza?

«Le aziende mi contattano per riorganizzare i comportamenti, per promuovere nuove pratiche in funzioni delle nuove regolamentazioni affinché le persone vi aderiscano in modo il più possibile “naturale”, automatico. Per esempio creando stazioni di igiene dove lavare le mani. Per adottare comportamenti nuovi, per scrivere regole che siano comprensibili e semplici. Per progettare “poster” che forniscano indicazioni chiare ai dipendenti. Più che mai occorre tradurre le nuove regole in nuovi comportamenti e abitudini. Le scienze comportamentali aiutano a fare questo nel modo più efficiente e su bassi scientifiche e sperimentali».

Un modo per favorire i cambiamenti è la “spinta gentile”.

«Come funziona?

Si è molto parlato di “spinta gentile” che traduce l’inglese “nudge”, aiutino. È una “spintarella” per portare le persone a prendere decisioni più in linea con il loro benessere e quello della società. Non sono “tecniche di persuasione di massa”, ma al contrario un modo di progettare ambienti di scelta perché la decisione virtuosa sia quella più adatti e anche più naturale. Quindi se il nostro obiettivo è che le persone tengano il distanziamento sociale, si lavino mani e usino igienizzante, bisogna creare un ambiente perché questo avvenga nel modo più semplice possibile.

Questa pandemia è piuttosto una spinta brutale. Che cosa ci insegna?

È involontariamente e drammaticamente un esperimento a cielo aperto su scala planetaria, che ci obbliga a fare i conti con dei limiti alle nostre libertà individuali che non avremmo mai potuto immaginare sarebbero accaduti. A livello di micro-comportamenti, che saranno quelli più importanti dal 4 maggio in poi, quando dovremo riprendere a vivere in modo sociale, in ambienti che dovremo dividere con gli altri, ecco che progettare queste nuove abitudini tenendo conto di come le persone funzionano alla luce delle loro “trappole cognitive” e delle loro emozioni, per orientare comportamenti virtuosi diventa molto importante. Il discorso però va declinato caso per caso, e le scienze cognitive funzionano nella misura in cui noi siamo molto bravi a studiare contesti specifici e a scommettere sul comportamento che le persone terranno in quelle date circostanze. Non c’è una ricetta che va bene per tutti. Ecco che le aziende diventano veri e propri esperimenti nel mondo reale in cui si dovranno testare e validare nuove pratiche. Da questo punto di vista si tratta di una rivoluzione culturale che obbligandoci a cambiare ci sarà la possibilità di imparare cose nuove sperimentandole. Si pensi allo smart working per esempio, o alla riorganizzazione degli orari di lavoro».

Lei ha accennato alle “trappole mentali”. Da quali il mondo imprenditoriale deve guardarsi in questa fase tanto delicata?

«Sono sempre in agguato e in momenti come questi di forte emotività, di paura, di ansia e anche di tensione sociale, sono detonatori formidabili di errori cognitivi. Mi aspetto che il mondo imprenditoriale non ne sia immune. Siamo purtroppo in un momento in cui, dopo una prima fase in cui l’informazione scientifica arrivava abbastanza chiara, si assiste a una confusione formidabile, sono tornate le tesi complottiste e le fake news. Questo è molto pericoloso perché ci allontana dal trovare soluzioni razionali ed esaspera situazioni emotive.

Una trappola diffusa è la “confirmation bias”: le persone sono portate a trovare sempre informazioni e dati a conferma delle proprie ipotesi. Ancora peggio è il “contagio sociale”, cioè il fatto che generalmente ci circondiamo di persone che la pensano come noi, che finiscono per rinforzare le nostre credenze. Affidarsi alla conoscenza scientifica selezionata dalle migliori riviste (Lancet, Science, etc). è l’unico modo per avere una conoscenza basata su fonti affidabili e provare a risolvere i problemi razionalmente. Va pur sempre tenuto conto che la scienza è in divenire di suo e occorre il tempo perché il metodo scientifico produca risultati ragionevolmente certi.»

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