«Eravamo i più forti. Serie A, che liberazione»

De Nicolao: ««Cantù meglio anche di Udine, ma frenata dagli infortuni. Conto di restare»

Gioia, la sensazione di avercela finalmente fatta. Emozioni vorticose innescate nel finale. Tutto in quei nove ultimi secondi – quelli su cui ancora oggi si discute per un presunto fallo di Riismaa su Marini – che hanno consegnato la vittoria di gara-3 a Cantù contro Rimini e la promozione in serie A. Game, set, match al PalaFitLine, con il play Andrea De Nicolao, che ha firmato dei playoff da urlo.

Andrea, partiamo dalla fine. Ci racconta quegli istanti finali?

È stata una stagione faticosa e difficile: lì per lì, il senso di liberazione ha prevalso sulla gioia per il risultato, avevamo capito che finalmente era fatta.

Una sensazione a dir poco particolare, non trova?

Vero, ma immediatamente ha prevalso felicità perché è stata una vittoria non scontata. Certamente è stata una sensazione unica: ho vinto anche altri trofei in carriera, e la prima sensazione è sempre stata l’euforia.

Perché a Cantù è andata diversamente?

Qua tutti abbiamo sentito una sorta di responsabilità nei confronti di un popolo, di un progetto e delle persone che hanno veramente investito e creduto in questo obiettivo, mettendoci nelle condizioni ideali per raggiungerlo. È una cosa che ho avvertito fin dalla mia firma la scorsa estate.

E quindi?

Sarà stata una sensazione difficile da spiegare, ma molto diversa dalla semplice vittoria. Era nell’aria, dopo gara-2, ma c’era il rammarico e il peso degli anni precedenti.

L’avete avvertita questa tensione nel corso dei mesi?

Un po’ paura nell’ambiente c’era, così come la tensione per la finale. Da quanto ho potuto vedere, i tifosi erano stremati per l’attesa del ritorno in serie A. Aggiungiamoci il gran caldo all’interno del palazzetto ed è facile capire che finale particolare sia stata.

Si aspettava tutto questo al momento della firma?

Certo, fin dal primo istante. Tutti mi parlavano di questo obiettivo, che era diventato una necessità. Da quel momento, c’è stata una pressione positiva. Ovviamente il momento clou, con la palla che può decidere le sorti di una stagione, non è mai una situazione adatta ai deboli di cuore. Ma in casa nostra, in vantaggio 2-0, non si poteva proprio sbagliare.

Un grande De Nicolao ai playoff, dopo l’operazione al ginocchio. Ripensandoci, è stata una scelta saggia operarsi a febbraio…

Più che altro è stata una scelta obbligata: il ginocchio mi ha fatto capire che era arrivata l’ora di intervenire. Aspettare non sarebbe servito, mi conosco. In ventiquattr’ore abbiamo organizzato tutto, per non perdere tempo e tornare in condizione per il finale di campionato e i playoff.

Da capitano di Venezia in A alla A2. Che stagione è stata questa “al piano di sotto”?

Molto strana. Mi sono dovuto adattare a un tipo di gioco diverso dopo anni di A. Sul livello possiamo discutere, ma è proprio il modo di giocare che è molto diverso. Sapevo non sarebbe stato facile adattarsi. Dovevo certamente tenere in considerazione e saper ascoltare le mie esigenze, ma il mio ruolo impone anche di ascoltare quelle della squadra e dello staff tecnico. Come in tutti i percorsi, ci vuole del tempo per rendere. E sono orgoglioso che l’obiettivo sia stato raggiunto subito.

Il tutto in una squadra tutta nuova, con due soli reduci, Baldi Rossi e Moraschini. Ha avuto un peso anche questo?

Come tutti i nuovi cicli nuovi, ci vuole del tempo per conoscersi. Stando insieme in palestra, un po’ alla volta, si è imparato a stare insieme. La differenza nelle vittorie la fa un gruppo che sa stare insieme. Dev’essere forte, ovviamente, ma un gruppo deve saper convivere e condividere. Abbiamo avuto i nostri problemini, ma nel momento giusto tutti siamo rientrati sul binario giusto.

Con tutte queste premesse e aspettative, il primo posto mancato com’è stato vissuto?

Ce ne siamo fatti una ragione, ma abbiamo reagito. I tanti infortuni hanno inciso, gli alti e bassi ci sono stati per questo motivo. Oggettivamente eravamo la squadra più forte, senza nulla togliere a Udine, che ha avuto più costanza e meno infortuni. Hanno avuto anche la bravura di coprire gli infortunati con giocatori dello stesso livello. Noi con i problemi abbiamo convissuto, risolvendoli. Anche ai playoff abbiamo perso due volte a Bologna, ma la consapevolezza nei mezzi c’era tutta: è stato come vincere un’altra finale.

C’è stato un segreto?

Il roster lungo, con tanti giocatori in grado di fare la differenza, è stata la nostra forza. All’inizio eravamo un po’ prevedibili, ma siamo cambiati: è stata una chiave durante i playoff. Ogni partita ha avuto un protagonista diverso, segno che il gruppo era forte. Ogni partita qualcuno si è tolto qualcosa per darlo al compagno.

Ora Cantù che serie A deve aspettarsi?

È un campionato che sta diventando con gli anni sempre più veloce e rapido sul piano tecnico-tattico. Il livello fisico si è alzato molto e bisognerà tenerne conto. Poi c’è tutto il resto: bisogna entrarci, poi fare i necessari aggiustamenti per continuare la crescita. È impensabile credere di essere pronti senza averla fatta di recente. Bisogna entrare, capirla, guardarsi intorno, ma senza bruciare le tappe. Del resto Cantù è un esempio anche in questo: la promozione non è arrivata al primo colpo, ma l’ha costruita nel tempo, sebbene con attori diversi.

Progetti futuri?

Un po’ di vacanza e il mio camp a Jesolo. L’anno prossimo, salvo sorprese che non mi aspetto, sarò ancora qui.
L.Spo.

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