Giofrè: «Un ottimo lavoro, dico “brava” a Cantù. Che bella squadra»

Intervista con il canturino da tanti anni dirigente del basket italiano

«Cantù sta veramente dando l’impressione di voler far le cose come si deve per il suo ritorno in serie A. Ed è bene perché sappiamo tutti quanto sia stato difficile tornarci. Mi sembra che il club stia facendo di tutto per dare alla parte sportiva una squadra competitiva che eviti di rischiare di dover lottare per la salvezza. Noto che è stato svolto un ottimo lavoro dal punto di vista manageriale e probabilmente posso immaginare - conoscendo le persone e come operano - che in particolare Andrea Mauri, Antonio Munafò e Roberto Allievi abbiano speso del proprio e messo la faccia per cercare di coinvolgere nuove risorse così da poter disputare un campionato di serie A all’altezza, com’è giusto che sia per un club che si chiama Pallacanestro Cantù».

Simone Giofrè, classe 1977, canturino purosangue e da tantissimi anni dirigente nell’ambito del basket italiano spende così la sue prime parole allorquando lo si inviti a trattare l’argomento inerente il tanto sospirato sbarco di Cantù nella massima serie.

A proposito, che serie A è quella di adesso?

Una serie A altamente competitiva che negli ultimi anni ha alzato tantissimo il livello e ne sono proprio la conferma per fare un esempio le neopromosse dello scorso anno cioè Trapani e Trieste, matricole assolutamente finte poiché l’una avrebbe potuto lottare per il titolo e l’altra, leggermente inferiore per qualità ma, comunque da primi cinque -sei posti. Non solo...

Cioè?

Un campionato dove in questo momento ci sono risorse economiche molto importanti non solo dalle due squadre che sono al vertice del movimento e che disputano l’Eurolega come Milano e Bologna, ma anche da tutte le altre. Insomma, un livello competitivo anche economicamente che si è elevato molto solo nelle ultime stagioni.

Quali errori non dovrebbe dunque commettere una neopromossa?

Non c’è un vademecum degli errori da evitare. Naturalmente Cantù ha nel frattempo cambiato tanto e a volte basta semplicemente cambiare anche una sola pedina importante per rischiare di dover rimettere tutto in discussione. Fondamentale sarà riuscire a visualizzare quelle che potrebbero essere le criticità. Da un lato non ci si può distrarre un attimo e dall’altro non bisognerà farsi prendere dal panico quando ci saranno magari dei momenti negativi di sconforto legati a una striscia di sconfitte consecutive.

Ne sa qualcosa, vero?

Due anni fa a Treviso incappammo in una striscia iniziale di 9 sconfitte di fila, ma dalla 10ª alla 30ª giornata i punti da noi conquistati furono da quarta in classifica e riuscimmo a salvarci. Vuol dire che bastava rodare un attimo la squadra e operare aggiustamenti senza però mai farsi prendere dal panico. E poi...

Poi?

Il basket moderno è diverso anche solo da quello di dieci anni fa. Oggi c’è un modo di giocare molto più rapido, con possessi sicuramente più brevi, che ti dà modo anche nell’arco della stessa partita di recuperare svantaggi importanti. Quante volte abbiamo visto negli ultimi campionati squadre sotto di venti lunghezze recuperare in poco tempo e andare a vincere? Ci sarebbe anche un altra spiegazione.

Quale?

Rispetto agli anni 90 quando arrivavano magari dei califfi della Nba oggi i giocatori stranieri, soprattutto americani, che giungono da noi, il più delle volte sono sconosciuti. Eppure a livello generale il talento globale si è alzato. Quindi, talvolta, si riescono a ingaggiare giocatori che in una stagione compiono passi da gigante permettendo alle squadre di riuscire a posizionarsi là dove non avrebbero magari mai immaginato.

E in tutto ciò quanto “pesano” gli italiani?

Ovvio che avere un nucleo solido di italiani è qualcosa che aiuta e quindi storicamente le neopromosse cercano di mantenerne il più possibile anche perché si proviene da un’A2 in cui sono otto giocatori italiani e due stranieri. Quindi basta trattenere la metà degli italiani e già hai fatto il nucleo per quelli della serie A.

Cantù ne ha conservati parecchi.

Il pacchetto di italiani dell’Acqua S.Bernardo - e mi riferisco in particolare a Moraschini, De Nicolao e Bortolani oltre che a Basile - costituisce un nucleo da grande squadra e non certo da una che si deve soltanto salvare. Questo, ovviamente, dal punto di vista societario ha significato un grande investimento, perché i loro ingaggi sono decisamente significativi. Se poi aggiungiamo Okeke che certo a non ha ancora l’esperienza degli altri ma è un giocatore che potrà avere un futuro interessante, allora il cerchio si chiude. Ritengo che la società abbia voluto anche investire sull’identità. E ha fatto benissimo.

Capitolo americani. Che ci dice di quelli sin qui pescati dalla S.Bernardo?

Intanto si capisce al volo che è stata seguita una linea ben definita, nel senso che avendo un bel nucleo di italiani esperti e non certo delle scommesse, si è potuto puntare su giocatori americani che magari si dovranno ancora affermare, ma non per questo dei punti interrogativi a prescindere. Lo stesso centro, Ballo, è sì un rookie, ma un rookie di alto profilo, un ragazzo molto interessante e promettente sul quale Cantù ha fatto un bell’investimento anche sotto il profilo tecnico. Gilyard è un play che ha già fatto vedere delle buonissime cose e anche in questo caso si è andati su un profilo di talento, frizzante e pure entusiasmante. Ajayi viene dall’A2 ma ha già esperienza e non è certo da scoprire in Italia Il gruppo di stranieri, insomma, è decisamente valido e in grado di completarsi con italiani di grandi qualità e di livello molto alto per la serie A.

Morale?

Vediamo come si chiuderà il roster, ma oserei dire che già a,lo stato attuale ci sono tutti gli ingredienti per far bene perché gli incastri sembrano perfetti.

In questi quattro anni in cui la S.Bernardo è stata lontana dalla A, solo una delle otto neopromosse è retrocessa al primo colpo. Come legge questo dato?

A memoria, anche andando più a ritroso, mi sembra che l’unica matricola retrocessa dopo essere appena salita sia stata Verona. Ciò significa, ribadisco,che il livello competitivo anche di chi sale è alto. Aiuta, come accennavo, avere già una solida identità di squadra che sa quanto è stato duro vincere il campionato di A2 e quanto abbia dovuto soffrire. Cantù di questo ne è perfettamente consapevole perché il suo percorso è stato dapprima segnato da tre tentativi sfumati.

Mancate promozioni che hanno lasciato il segno.

Vero, ma nell’ultima stagione, giocando tra l’altro con i galloni da favorita - il che non è mai facile né semplice da gestire - si è resa autrice di un playoff molto importante e per nulla facile perché le avversarie erano agguerrite, già a partire dal primo turno con la Fortitudo. Insomma, questa esperienza di “sofferenza” vissuta sulla propria pelle ritengo potrà essere un’arma in più a proprio vantaggio nella gestione della stagione del ritorno in A.

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