Ambrosoli: «Il nostro Como così dolce come... il miele»

Roberto e Luca, oltre 50 anni al Sinigaglia, da sponsor poi da dirigenti adesso da semplici super tifosi

Eccoli qui, di fronte a noi. Roberto e Luca Ambrosoli, 66 e 62 anni, discendenti della famiglia “del miele”, ma soprattutto (vista la collocazione di questa intervista) tifosi del Como. Del quale sono stati sponsor e dirigenti. E del quale non si perdono una partita al Sinigaglia dall’inizio degli Anni Settanta (senza contare le trasferte). Un “dolce” libro di storia. Ancora aperto.

La prima volta allo stadio?

Era l’inizio degli Anni Settanta. Qualche volta in curva, più spesso nei distinti. Portavamo una cassetta della frutta con dentro la batteria per alimentare le trombe bitonali. Pere-pere-pere-pere-pere-pe... Eravamo noi quelli che si sentivano in sottofondo, nelle radiocronache! Le sentivano tutti. E avevamo anche un bandierone gigante, tenuto da una canna di bambù. Certo che poteva entrare di tutto...

Lo zio era stato presidente del Como negli Anni Cinquanta.

Già. Il fratello di papà. Ma allo stadio ci avvicinammo più per la passione che aveva nostro padre, ormai lo zio aveva abbandonato. Però qualche entratura per conoscere i giocatori ogni tanto capitava (ridono, ndr).

Gli Anni Ottanta.

Fantastici, in serie A. Venticinquemila spettatori. Uno specchio sul quale specchiarci quando si parla di problemi del Sinigaglia. E cominciammo ad andare in tribuna

Sponsor dal 1991 al 1993.

Fu un altro zio, che si occupava di pubblicità, ad avere questa idea. Furono due anni bellissimi, al di là dei risultati. Seguimmo il Como nello staff dirigenziale. Meglio. Visto che l’anno prima, a La Spezia, esultammo per un gol e fummo letteralmente salvati da due carabinieri...

Altri guai?

A Pistoia nel 1999, allo spareggio, ci bucarono le ruote del pullman mentre eravamo al ristorante. Dovemmo dividerci, al ritorno, sparpagliati sugli altri pullman.

Torniamo al 1991, C’era Marotta.

E Carnevali. Per dire che il Como non ha lanciato solo giocatori e allenatori, ma anche dirigenti. Marotta era super. Capivi subito che sarebbe diventato un big. Sapeva tutto dei giocatori, non solo le caratteristiche tecniche. E poi ci fu quella volta dell’aereo.

Quale aereo?

Dovevamo andare in trasferta a Trieste. Il lunedì gli dicemmo: c’è la nebbia, mi sa che non andiamo. Mica abbiamo un aereo. Il mercoledì ci richiama: “trovatevi a Lugano, ho preso un aereo privato”. Orcocan, era vero. La nostra era una battuta, ma lui ci aveva preso sul serio. Era un Cessna, eravamo in cinque. Indimenticabile. Anche le facce del Consiglio quando arrivò il conto da pagare. Ma Marotta aveva dei guizzi da grande manager...

La scritta Ambrosoli sulle maglie, in dolce corsivo da elementari, le note di “Dolce cara mammina”, indimenticabile motivetto del Carosello: una avventura industriale così non può essere come altre.

La scritta non è mai stata cambiata, il motivetto del Carosello ce lo ricordiamo da bambini, con il naso all’insu a guardare la tv. Come tutti i bambini italiani, a nanna dopo Carosello. Ma quello era il marchio di famiglia...

Una famiglia numerosa.

L’azienda la aprì il nonno, poi c’erano i suoi otto figli. Uno è diventato medico missionario, padre Giuseppe grande uomo che ha dato la sua vita per l’Africa e che è diventato beato. Più o meno tutti gli altri erano in azienda. Come lo siamo stati noi. Sai una cosa che ci ricordiamo? Che i fratelli si trovavano a fare colazione tutti insieme la mattina, a parlare dell’azienda. Commovente esempio di team building. Ma sul serio.

Torniamo al Como. Dopo lo sponsor?

Roberto: Io sono diventato dirigente, ero in Consiglio con una quota. Anche Luca ne aveva una. Ricordo le riunioni. Anche calde eh... Una volta Fabio Ferretti scagliò una agenda contro Niki D’Angelo. Solo che l’agenda era mia... Volarono tutti i fogli. Adesso quando si vedono si abbracciano.

Sciur Mario Beretta

Roberto: Che passione, che cuore. Non guidava volentieri. E allora mi affidava l’auto. Ero il suo autista. “Guida tu che sei pilota”, diceva,

Luca: Io avevo frequentato la casa di Beltrami, perché da ragazzi eravamo diventati amici con la figlia. Veniva allo stadio con noi.

Ah già, perché voi avete fatto anche i piloti di Rally per tanti anni. Che era il più forte?

Roberto: Lui

Luca: L’avevo presa un po’ più sul serio. Infatti ho smesso solo due anni fa.

Roberto: Ma i punti nel Campionato del Mondo li ho fatti solo io. In Costa d’Avorio nel 1988.

Torniamo al Como. Gli anni bui degli azzurri?

Roberto: Ho voluto cancellare quasi tutto dalla mente. E non ho perso una partita, eh...

Luca: io ne ho persa qualcuna in più per il mio impegno nell’hockey.

Nomi?

Foresti è stato un ottimo dirigente, infatti sta facendo bene anche a Catanzaro. Di quegli anni salvo solo il fatto che il nostro amico Massimo Mascetti ha fatto tanto per la società da team manager. Preferiamo parlare del presente.

Appunto.

Secondo noi i tifosi hanno capito, che razza di cosa ci è capitata, ma la città ancora no. Ma questa è una cosa epocale che cambia tutto.

Perfino esagerata per Como. Noi, abituati sempre a essere outsider.

Sì, ma è meglio che ci abituiamo. Alcune cose non possono più essere le stesse. Certo, manca un punto di riferimento locale, sono talmente tanti manager che si perde l’orientamento. Ma è una cosa nuova, e va apprezzata per tutto quello che ci può dare.

Vi aspettate bastoni tra le ruote sullo stadio?

Certo! Como è così. Ma sono resistenze che sono destinate a soccombere. Piuttosto ci preoccupa la burocrazia. Stancherebbe anche un santo. Un’area nuova, con impronta neorazionalista, che diventi una cittadella dello sport. Proviamoci.

La squadra?

Forte. Serie A subito? E perché no? Fabregas ha dato una spinta. Andrà via presto? E chi l’ha detto? Mettiamo il caso di andare in Europa... Longo era troppo prudente per questa società. Che adesso, dopo tre anni di piccoli passi, ha deciso di accelerare. Di brutto.

Roberto: Io sulla A diretta ho fatto una scommessa all’inizio della stagione.

Luca: Arriviamo secondi.

Il podio della vostra vita.

Roberto: Music, Gattuso e Cutrone.

Luca: Oliveira, Giuliani, Gabrielloni.

Roberto: Però io voglio ricordare anche Roberto Melgrati, un amico. Giocavamo a pallone assieme, una persona splendida.

Allenatori?

L’aspetto umano di alcuni ci ha sempre colpito. Frosio, Valdinoci, Dominissini. Dico Marchesi

Luca: Io Gattuso.

A proposito: va bene il 4-2-3-1, ma ci piacerebbe vedere le due punte. Specialmente se gioca Gabrielloni, che da solo fa troppa fatica in mezzo alle difese avversarie.

Un ultimo ricordo?

Como Azzurra. Un club affollato di gente che teneva tanto al Como, a cominciare dal Generale Cardiello.

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