Il gesto di Alvaro: non è un calcio
per giocatori “sensibili”

La prima reazione a caldo è stata: ma veramente? Cioè, veramente un giocatore come Morata che ha vinto di tutto, giocato finali di Champions ed Europei, affrontato difensori come Sergio Ramos e Piquè sta chiedendo il cambio perché innervosito da Yerry Mina?

Ma come? Non c’è intervista in cui Fabregas non fa a meno di ricordare (con tutte le ragioni del caso) che sta allenando una squadra di ventenni, di ragazzi che devono ancora crescere, fare esperienza, sbagliare e chi più ne ha più ne metta, ma alla fine viene tradito dal suo pupillo per antonomasia, dal giocatore di stampo internazionale più navigato, che nel giro di una settimana ha prima fallito il rigore a Napoli, poi è stato protagonista di una scena che, inutile prendersi in giro, ha ricordato quei pomeriggi all’oratorio quando si iniziava a litigare e si chiudeva la questione con un “va bene, io non gioco più”. Una scena oggettivamente fuori dall’ordinario, non normale, che deve portare a un’analisi approfondita.

Tutto storto

L’impressione è che quelle due dita al cielo roteanti non siano un semplice capriccio dovuto a una crisi di nervi di Morata, ma suggeriscano qualcosa di più. Chi ha giocato a calcio lo sa: arrivano dei momenti in cui tutto gira storto e la fortuna non vuole saperne di fare la sua parte. Partite, o nel peggiore dei casi periodi, dove la palla non entrerebbe neanche con le mani. In questi casi serve uno squillo, una fiammata, una scossa che tolga una volta per tutte la negatività.

Poi, però, c’è anche una questione di carattere. E qui la situazione si fa più seria. Perché quando i pensieri nella testa prendono il sopravvento, non c’è allenamento perfetto che possa risolvere i problemi. Il calcio, piaccia o non piaccia, non è un gioco per ragazzi sensibili. Vince chi non molla. Vince chi è freddo. Vince chi una volta entrato in campo spegne il cervello. Chi pensa troppo, invece, alla fine si impantana nei propri pensieri, a maggior ragione se solo legati a vicende extra campo (non a caso, oggi viene dato allo psicologo lo stesso valore del preparatore atletico).

Problema

E quindi, qual è il vero problema di Morata? Un periodo di “magra” in termini di gol o una difficoltà psicologica da superare? A novembre 2018, dopo una lunga serie di prestazioni negative, era stato lui stesso, con apprezzabile coraggio, a dichiarare di aver bisogno di tempo per ritrovare la felicità sul campo di gioco.

Oggi non sappiamo a cosa sia dovuto il suo nervosismo, ma l’unica cosa certa è che, nell’uno o nell’altro caso, il calcio non guarda in faccia a nessuno. Qualsiasi forma di ribellione al cliché del centravanti cinico e spietato sarà un fallimento. I tifosi e Fabregas sono con Alvaro. Ma solo lui può scrollarsi di dosso questo senso di fragilità offuscata che a oggi non sta giovando a nessuno.

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