«Io sindaco nel 1988 sul treno a Verona. Oggi è tutto diverso»

Simone: «Sono sempre stato tifoso. Lo stadio? Lo volevo fuori, ma ora non più»

Domenica 8 maggio 1988 il Como di Burgnich, alla penultima giornata, andò a giocarsi una fetta di salvezza a Verona. Per l’occasione, fu allestito un treno speciale, che passò alla storia come il “Treno della salvezza”: a bordo c’erano 1100 tifosi. Tra questi l’allora sindaco Sergio Simone, socialista, in carica dal 1985 al 1988. E la sua presenza diventò leggendaria, perché non c’era l’abitudine a vedere esponenti delle istituzioni vicine alla squadra. Il treno della salvezza con a capo il sindaco.

Corsa ricorda, Simone?

Che fu bellissimo. Ricordo il clima di festa alla partenza, alla stazione. Mi intervistò anche Nino Balducci. C’era un clima positivo, pacifico.

Sul treno degli ultrà.

Io sono sempre stato tifoso del Como. Andavo sempre allo stadio, non me ne perdevo una. Lo stadio per me era casa. E poi uno dei miei figli faceva parte della Fossa Lariana. Insomma, stare tra i tifosi non mi creava certo imbarazzo.

Come fu il viaggio?

Due ore circa. Con me c’era anche un consigliere comunale. Ricordo che fummo invitati a una partita a scopa.

Oddio, come Bearzot, Causio, Pertini e Bearzot dopo Spagna 1982...

Beh non esageriamo. Ma fu divertente.

Poi?

Andammo allo stadio, poi il grosso dei tifosi andò in curva, io andai in tribuna anche perché dovevo incontrare le autorità locali. E il ritorno lo feci in auto. Felice perché il Como vinse 1-0, con gol di Giunta. E la salvezza era quasi conquistata.

Da quando era tifoso?

La prima partita che vidi fu alla fine degli Anni Cinquanta. Era una iniziativa della scuola che frequentavo. E da lì mi è sempre piaciuto.

Ricordi?

Oh, tanti... Una volta, prima di Como-Torino, ero al Tennis a fare una premiazione,e mi chiamò Craxi che disse che stava arrivando allo stadio. Eravamo io, lui e Trussardi in tribuna. Andavo anche in trasferta. Una volta a San Siro vidi Milan-Como a fianco di Tognoli, sindaco di Milano. Ero arrabbiato per una decisione arbitrale, ma lui mi guardò ironico: “Tanto sono interista”.

Altri ricordi?

Ottavio Bianchi veniva in Comune a chiedere che il campo fosse irrigato in un momento preciso per scegliere i tacchetti giusti. E poi quella volta che mi arrabbiai sul serio per Maradona che si inventò un rigore buttandosi.

E’ stato amico anche di calciatori...

Uno dei miei preferiti era Tempestilli, poi ero intimo di Fusi che aveva un papà in politica, e Simone aveva il mio stesso cognome e si trovava con mio figlio che giocava nelle giovanili azzurre.

Vede il Como anche adesso?

Più spesso in tv ma quest’anno sono stato anche allo stadio.

Stadio... parola magica.

Leggo, leggo. Io e Meda, allora assessore ai Lavori Pubblici, studiammo un progetto per portare stadio e palazzetto nella piana di Lazzago. Ma restò un’idea, non venne nemmeno portata in consiglio comunale. Pigni e Barattieri, ad esempio, volevano lo stadio ancora lì.

Oggi la pensa ancora così?

No. Credo che su molti fronti la società sia sgretolata, le occasioni di aggregazione siano sempre di meno, e dunque, quando come a Como adesso, c’è questa festa popolare una volta ogni quindici giorni, sarebbe un peccato interromperla. Lo stadio va bene lì. Ma...

Ma?

Ma il dibattito deve vertere sull’equilibrio tra i vantaggi per l’investitore e quelli per la comunità e la vita sociale della città. Credo che si vada in quella direzione.

Cosa pensa di questa società?

Vedo che lavora bene. L’importante è che dia garanzie di investimenti anche sul piano sportivo, nel corso degli anni. E’ importante, perché tutto abbia senso, che il livello di competitività resti alto.

Che effetto le ha fatto andare allo stadio, rispetto a quando lei era sindaco?

E’ cambiato tutto. C’è lo stesso entusiasmo, ma allora era una Como in cui ci si conosceva tutti, eravamo sempre gli stessi. Io frequentavo il bar Pucci. Oggi ci sono più giovani, più donne e c’è una comunità moto più aperta e promiscua.

© RIPRODUZIONE RISERVATA