
(Foto di Cusa)
Ha appena annunciato il ritiro: «Qualcosa di diverso lo sento già, sensazioni. Ma sono contento»
Ieri Alessio Iovine ha allenato. Era sulla panchina di una delle squadre degli sponsor nel torneo organizzato dalla società al Sinigaglia. Un paradigma. Tutto era uguale al calcio vero: le tre squadre con le maglie ufficiali del Como, i nomi sulle spalle, lo speaker, la musica di Bon Jovi ai gol, persino la premiazione in stile Champions, con le fiamme. Tutto vero, ma tutto finto. Una specie di catarsi, per Iovine, ancora lì, come se fosse tutto vero, reale, e invece era un gioco, con lui nei panni del finto allenatore. Ha fatto persino la corsa sotto la curva (deserta), lì dove venerdì aveva ricevuto il saluto della gente. Va beh, insomma, in qualche modo il luogo e il momento più adatto per farci raccontare da Alessio le sue sensazioni dopo l’addio al calcio. Seduti in tribuna, lì sul luogo delle emozioni.
Un po’ frastornato. Ma felice. Mi renderò conto davvero solo quando ricomincerà la stagione. Quando i miei ex compagni andranno in ritiro. Qualcosa di diverso lo sento già, sensazioni. Ma sono contento.
Ho cominciato a pensarci a gennaio. Diciamo che si parlava con la società di come sarebbe potuta andare la prossima stagione, c’era la possibilità di andare a giocare da qualche altra parte, pur restando legato al Como. Voglio aggiungere che con il direttore Ludi ho sempre avuto un rapporto confidenziale, si è sempre parlato non solo di contratti, ma di altro. Così è saltata fuori questa opportunità di lavorare nel Como. Sono state settimane importanti, ho messo sui due piatti della bilancia pro e contro. Ci ho pensato bene, e venti giorni fa ho deciso.
Mi ricordo di quando Ronaldo andò alla Juve e si disse che nel calcio certe opportunità capitano per una congiuntura astrale. Se non fosse successo quella volta, Ronaldo alla Juventus non ci sarebbe mai andato. Io sono tifoso del Como, sono di Como, e avere l’opportunità di restare a lungo nella società che amo, è stato importante. Poi abbiamo valutato in famiglia, il fatto che essere qui, nel posto che amiamo, era una grande opportunità. Ma poi c’è stata anche un’altra cosa.
La dimostrazione di quanto mi stimasse l’ambiente. La società, il mister, i compagni. La società mi ha fatto una proposta perché interessata al fatto che io potessi essere un profilo umano e professionale allineato. E’ stato molto bello.
Mamma mia...
Il mister a Verona mi aveva pre annunciato che avrei giocato. Io mi ero detto: ok, ma se la squadra vince 1-0 e c’è bisogno di un ultimo cambio diverso, mica metterà davvero me... Poi durante la partita il preparatore mi ha detto di scaldarmi, e Cesc mi ha detto di entrare.
E’ arrivato Da Cunha a darmi la fascia e mi ha detto: sono onorato di averla portata, tieni, è tua. Sì, ho dato tutto. Ricordo i boati al tocco di palla, che bello. Poi ho anche messo un cross che con un po’ di fortuna... ma non chiediamo troppo.
Non capivo più niente. Mi aspettavo un applauso, magari un piccolo striscione, non quella mega scritta, e i cori della curva, e poi i compagni con la maglia numero 6, e l’abbraccio di Bastoni che mi ha fatto l’“in bocca al lupo”. E poi l’abbraccio con Nico: gli ho sussurrato delle cose che mi tengo per me. Poi la passeggiata sotto la curva, con la mia compagna e mio figlio. Ha un anno, non ha capito. Ma vedrà le foto di questa serata. Per cui devo ringraziare qualcuno.
Io non sono uno che ama la ribalta. Non avrei fatto nulla di tutto ciò. Poi il mister mi ha costretto ad andare in conferenza a parlare e lui mi ha spinto sotto la curva. Non lo avrei fatto, ma adesso lo ringrazio perché mi sarei perso un momento che mi porterò sempre nel cuore.
Intanto c’è stata l’emozione del debutto in A. Avevo due sogni da bambino, giocare in A e vincere il Mondiale con la Nazionale. Il secondo temo che non lo coronerò... (ride, ndr), ma per il primo ce l’ho fatta. Dell’esordio a Cagliari mi ricordo tutto.
La serie A è un livello differente. E’ bellissima, ma è un salto clamoroso anche rispetto alla B. Ho giocato poco ma mi sono gustato ogni momento, ho imparato tantissimo, ho studiato tutto quello che vedevo. Davvero preziosissimo. Meraviglioso.
Tutti vorrebbero giocare, ma devo dire una cosa: sono rimasto colpito dalla considerazione che ho avuto nello spogliatoio, dove mi hanno trattato come un capitano. Se pensi che la squadra era in gran parte nuova, e che molti giocatori avevano un passato importante, beh vedere che ero considerato così da tutti, è stato per me una grande iniezione di orgoglio. Andavo ad allenarmi contento, dovevo ripagare quella fiducia dando ogni giorno il 110%.
Un predestinato. Vede le cose prima, è ancora molto calciatore e ha la sensibilità per capire al volo le dinamiche di spogliatoio, anche dopo le sconfitte ha usato parole che ci hanno caricato molto. Lavorerà per alzare l’asticella.
Io sì, certamente.
Le due stagioni di B, quella di Longo e quella di Fabregas. Forse nel girone di ritorno dell’anno della promozione ho dato il meglio.
Un po’ sì. Peccato gli infortuni, che mi hanno frenato.
La promozione in B l’ho vissuta più intensamente, anche per le dinamiche del campionato. A quella in A era distratto, perché per la prima volta avevo lasciato mio figlio di due mesi dai nonni,e non vedevo l’ora di tornare a casa. Poi mi ricordo i tre gol consecutivi in C, nel 2019-20, con la Giana, a Olbia e con l’Alessandria. A Olbia c’era mio fratello in curva...
La B di Preziosi. I miei giocatori preferiti erano Brunner e Music. Strano: lo stadio mi sembrava più pieno rispetto ad ora, forse perché ero un bambino, o forse perché non c’erano i seggiolini e la gente era più ammassata.
Come no? Ero in Messico, in vacanza. Mi voleva la Carrarese, mi chiamò il procuratore e mi disse di questa opportunità. Dissi di sì senza nemmeno conoscere i particolari, da tempo sognavo di tornare. Appena arrivato feci il modello per la nuova maglia.
Sì, un po’ a Ibiza, poi non so. Mi rilasso, poi torno, ci metteremo a un tavolo e decideremo quale sarà la mia nuova vita. Nel Como.
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