
(Foto di Cusa)
Il grande centrocampista sardo nelle vesti di doppio ex
Gianfranco Matteoli ha qualcosa da dire. Più di qualcosa. Cresciuto nel Como, dove è stato il maradonino lariano prima di spiccare il volo, ha vinto uno scudetto all’Inter. E in mezzo ha giocato nella Sampdoria che, come leggerete, c’entra parecchio. Ma partiamo da Como-Inter:«Partita strana, particolare, su cui avrei detto delle cose sino a pochi giorni fa, ma adesso ne dico altre. Per me l’Inter lo scudetto lo ha perso domenica. Ma giocherà alla morte perché nel calcio non si sa mai. Escludo che gli uomini di Inzaghi pensino alla Champions. Dall’altra parte il Como non mollerà di un centimetro. Non nelle sue corde. Sarebbe un successo di prestigio. Sarà un bel match». Matteoli segue il Como, da Cagliari: «E come farei a non seguirlo? All’Inter ho vinto uno scudetto, ho giocato a casa mia a Cagliari, ma io mi sento ancora molto comasco. Lì sono diventato calciatore e ho vissuto i magici anni della promozione in serie A. Gli amici mi mandano la Provincia. So tutto». Allora sa anche che qui l’abbiamo paragonato a Caqueret: «Sì sì, ho visto... (ride, ndr), ma fare paragoni tra epoche diverse è difficile. Caqueret lo conosco poco, non saprei cosa dire. Sono certo che la svolta è stata quando Fabregas ha messo Da Cunha davanti alla difesa. Giocatore completo. Nico Paz? Grande qualità». Gli piace Fabregas: «Molto. Anche se non mi piace quando si dice che fa cose nuove. Perché di cose nuove nel calcio non ce ne sono. Anche ai nostri tempi ad esempio, il terzino si accentrava, solo che non lo diceva nessuno, le analisi erano meno dettagliate. Un allenatore può essere bravo a giocare,a fare le scelte giuste, i cambi azzeccati... Ma non parliamo di cose nuove, il calcio è sempre quello. Detto questo, Fabregas è un bravo allenatore, il Como gioca bene, è efficace».
Impossibile non fare paragoni tra il suo Como e questo: «Questo ha più margine di crescita. Lo dico con una equazione: il mio Como vendeva i giovani migliori per sopravvivere, questo li compra per vincere. C’è una bella differenza. Sembra più la mia Samp, che comprava i talenti migliori per costruire una squadra forte. Per me il Como è quella Samp». Che arrivò allo scudetto. Possibile ipotizzarlo in questo calcio così diverso? «Perché no? L’Atalanta non è forse lì, in zona? Dipende da quanti soldi hai e come li spendi e mi pare di capire che al Como siano messi bene».
Como-Inter. Qualche ricordo inedito? «Per il Como, che la partita a cui penso spesso è Como-Cavese, che ci portò praticamente in A. Pioveva che dio la mandava, ma giocammo come volando sul campo nonostante l’acqua alle caviglie. Oggi una partita così non la farebbero giocare. Ma fu uno spettacolo. E poi ho in testa Centi, che per quello che ha fatto nel settore giovanile a Como dovrebbero fargli un monumento». E con l’Inter? «Ho tanti bei ricordi. Ma ne ho uno brutto: un giorno un ex giocatore venne nello spogliatoio a chiedere una maglia e quando uscì vidi nei dirigenti una espressione di sufficienza. Quell’episodio mi ha fatto capire che quando è finito il tuo momento è meglio girare alla larga. Per questo non vado allo stadio e non chiedo nulla». E poi? «Mattheus che mi sfidò a birre. Ma non sa che i sardi la reggono meglio dei tedeschi?... (e ride, ndr)».
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