Ruga ha vinto a New York: «Ho toccato il (gratta)cielo con un dito»

Intervista «In realtà corro nei grattacieli solo durante le gare. All’inizio per allenarmi ho scelto la scalinata del Santuario di Noballo»

Como

Un laghèe in cima all’Empire state building di New York. Il sansirese Fabio Ruga (44 anni) si è imposto nella corsa all’interno del famoso grattacielo nella Grande Mela, la più datata ed importante della specialità che negli ultimi anni ha avuto un notevole impulso. Il comasco era salito sui gradini più bassi del podio, in altre occasioni ed adesso ha messo al collo l’oro, dopo una volata strettissima con il malese Wai Ching Soh, campione del Mondo in carica e numero uno del ranking. Una buona ragione per scambiare due parole con l’atleta lariano e conoscerlo meglio.

Non sono bastati gli 86 piani, con 1.576 gradini, per un totale di 381 metri di dislivello positivo, per “separarvi”?

Una delle difficoltà di queste gare è la partenza in linea, dove contano anche i primi metri per trovare la posizione buona per iniziare a salire i gradini -spiega Ruga -.Sono riuscito ad andare in testa e alle spalle avevo sempre il malese, che poi attorno al trentesimo piano, mi ha chiesto di dargli strada. Sorpassare non è facile e io l’ho fatto passare.

Ma poi lo ha ripassato nel finale della competizione.

E’ forte, è il migliore al Mondo e mi sono messo dietro. Quando ho visto che non riusciva a staccarmi, negli ultimi gradini l’ho superato ed ho finalmente vinto.

Ma come fa ad allenarsi nella corsa sui grattacieli, in Alto Lario?

In realtà corro nei grattacieli solo durante le gare. All’inizio per allenarmi ho scelto la scalinata del Santuario di Noballo. Ci andavo alla sera, dopo il lavoro, con Gino Corti che è stato il mio primo allenatore. Adesso però non ho più bisogno di allenarmi in maniera specifica: mi basta avere la forma e il resto viene da sé.

Lei è un atleta-lavoratore. Anzi di lavori ne fa addirittura due. Racconti un po’ come si sviluppa la sua giornata.

Al mattino sono ragioniere in un’azienda a Lenno, al pomeriggio mi dedico all’attività, che ha iniziato mio padre Pietro, di apicultore. Grazie anche all’aiuto di mio fratello Roberto, abbiamo un centinaio di arnie, a San Siro. Durante l’anno le spostiamo per seguire le diverse fioriture: in Val Cavargna per il tiglio o sotto il Bregagno per il rododendro. Produciamo miele e altri prodotti.

Ma è vero che durante i mesi di luglio ed agosto, durante i quali le api fanno le nuove famiglie, lei rinuncia a partecipare a diverse gare?

E’ esatto, ma poi recupero in autunno dove oltre ai grattacieli, faccio anche la classica corsa in montagna, il trail e perché no, qualche volta, la strada.

Quindi lei è un atleta polivalente?

Alla base di tutto c’è la corsa. Poi cambiano le situazioni. Le corse all’interno dei grattacieli sono completamente anaerobiche. Per fare un paragone con la pista è come correre un 800 metri, lanciato dal primo all’ultimo metro.

Grazie ai grattacieli è in giro per il Mondo.

Ma non riesco a fare il turista. Anche per il lavoro e per la famiglia, cerco di restare lontano da casa il meno possibile. A New York ho preso l’aereo la sera stessa della gara.

Tutti questi viaggi le costeranno un capitale.

Quando ho iniziato mi dovevo pagare tutte le spese, adesso invece che sono tra i primi al Mondo, sono gli organizzatori che mi invitano. Nei primi anni ha avuto anche l’appoggio di alcuni sponsor del lago, come l’Olio Vanini. Mi hanno dato una mano e io portavo in giro per il Mondo, il made in “laghèe”. Mi piacerebbe farlo ancora.

Le corse nei grattacieli hanno dei montepremi più interessanti rispetto alla strada e alla montagna. Vincere l’Empire poi deve essere molto gratificante.

Dal punto di vista della soddisfazione da atleta. Economicamente invece non ha portato nulla. O almeno sapevo già prima di correre che il montepremi sarebbe stato interamente devoluto in beneficenza. Ed anche questo mi ha fatto piacere.

E poi volete mettere la sddisfazione di essere il primo italiano, in 47 edizioni, a vincere la gara. Un laghèe per giunta.

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