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Giovedì 11 Settembre 2025
Verga: «Il mio atto d’amore per il Como. E ora lo sfido»
L’intervista L’ex sponsor e vicepresidente degli azzurri adesso presidente del Como Women femminile
Como
Stefano Verga, se la ricorda la prima volta con il Como?
Certo. Mi ero appena trasferito a Como da Milano con la mia famiglia, avrò avuto 15 anni, il Como era in serie A ed entravo l’ultimo quarto d’ora in Curva Azzurra. Ero tifoso juventino, ma cominciai così ad amare i colori azzurri.
Secondo round?
Passarono un po’ di anni, e cominciai ad andare a vedere assiduamente le partite della serie C di Preziosi. Nei distinti, fisso con mio fratello. Abbonato. Ho visto il salto dalla C alla A. A quel punto ero tifoso, proprio. I miei idoli: Oliveira, Brevi e Taldo.
Cosa ricorda di quella A?
Intanto ricordo che passai dai distinti alla tribuna. Lavoravo per una azienda e convinsi i titolari a sponsorizzare il Como. Così avevamo l’abbonamento in tribuna. Le vidi tutte. Andavo anche a Piacenza. Per come la ricordo io, era una squadra che avrebbe potuto anche salvarsi, ma che quando poteva vincere, pareggiava. E poi ricordo un’altra cosa.
Prego.
Andai io a trattare il contratto di sponsorizzazione e mi trovai di fronte Max Ferrigno, che da squalificato, si occupava del marketing del Como. Fu strano, perché per me Ferrigno, da tifoso, era il capitano che vedevo giocare dai distinti, e poi protagonista di una vicenda che ci aveva segnato tutti.
Fino al momento, anni dopo, che comparve il nome Verga sulle maglie del Como.
Avevo seguito la stagione della promozione in B di Porro, e quando fu il momento mi feci avanti per essere il primo sponsor, quello sulla maglia, col nome della mia azienda, che nel frattempo era nata. I teoria avrebbe dovuto essere una formula che prevedeva metà stagione con il marchio Verga e l’altra metà con il marchio Fox Town, ma poi rimasi io tutto l’anno.
Se la ricorda la prima partita?
E come no? Accesi la tv, il Como era a Perugia per la prima di campionato, e... non volevo credere ai miei occhi: avevano sbagliato le dimensioni della scritta, era minuscola, non si vedeva nulla del nome. Mi attaccai al telefono. Ovviamente per la seconda partita era tutto a posto.
Campionato deludente.
Sì, ma conobbi Foresti e fu un incontro importante.
Perché?
L’inizio di un periodo bellissimo e bruttissimo. Ma molto emozionante. Dopo la retrocessione arrivò Gallo in panchina e Andrissi ds. Pochi giorni e ci fu l’annuncio che il Como era fallito, anche se avrebbe continuato a giocare in C con il curatore a capo di tutto. Io, come prima mossa risposi presente. C’era preoccupazione, incertezza, paura. E io volli confermare la mia sponsorizzazione. Si creò un clima molto bello con Foresti, Andrissi e Gallo, se devo pensare a un team coeso, penso a quella stagione. Ci sentiamo spesso con tutti e tre.
Poi arrivò Lady Essien.
La prima volta che mi vide mi chiamo “Il Clooney dello stadio”. Non ci fu nemmeno il tempo di capire cosa fare, che lei sparì. Io non ci ho capito nulla. Ricordo una persona che venne a parlare con me, forse un suo parente, per programmare. Ma poi, tutti spariti. Boh.
Ma lei rimase anche questa volta.
Arrivarono Felleca e Nicastro, Angiuoni mi presentò Ninni Corda, ma io non sapevo chi fosse. Facemmo la maglia con le righine fini, che rievocava quella Mita Anni Ottanta. Si apriva un nuovo capitolo, l’ennesimo, della mia storia con il Como. In prima fila. Anche questo emozionante.
Una promozione in C, la cessione agli indonesiani.
Innanzitutto mi fecero vicepresidente. Ok, per motivi economici, non di gestione. Non ebbi mai voce in capitolo nella gestione tecnica, ma certo entrai ancor più nelle dinamiche, ero presente sempre, in casa e trasferta.
Felleca e Nicastro.
Il gatto e la volpe. Troppo diversi. Ognuno con la sua visone.
Uno avrebbe fatto carte false per vincere, l’altro pensava più alla società in senso allargato. La famosa vicenda della fidejussione per cercare il ripescaggio fu emblematica. Felleca la voleva depositare a tutti costi, Nicastro diceva che sarebbe stato meglio ripartire dalla D e strutturare la società. Nicastro guardava lontano.
Le disse mai che avrebbe trovato qualcuno di facoltoso?
Sempre. Diceva che prima o poi dai suoi contatti sarebbe saltato fuori. Quando incocciò Suwarso mi disse subito “Non sai che fortuna ha trovato il Como”. E lui aveva già idee di quel tipo. Sognava uno stadio più festoso, all’americana. Certo non si poteva fare, non veniva molta gente in D, ma mi ricordo quando volle sparare le magliette in curva come si fa adesso.
Beh, da questo punto di vista lei, Verga, è un visionario.
Beh, un po’ sì.
Il primo concerto allo stadio pre partita l’ha fatto lei.
Su spinta di Nicastro, feci esibire Miki D, in serie D. E poi i pullman del Como femminile: li ho griffati in modo spettacolare, come avrebbe fatto poi il Como. Ma la visione più importante che mi rende orgoglioso è un’altra: aver investito nel calcio femminile prima che diventasse quello che è adesso. Ora ne parlano tutti.
Ok, poi ci arriviamo. Ora ci dica : come’era Ninni Corda?
Vomitava.
Eh?
Per la tensione. Vedevo spesso le partite accanto a lui. E certe volte aveva dei conati di vomito sugli spalti. Viveva le partite al massimo. E guai a dirgli che era fatta sul 3-0: ti mangiava. Però posso dire una cosa?
Vada.
Facile parlare di Ninni Corda per i suoi eccessi, ma io voglio dire che era un grande conoscitore di calcio. Non sbagliava una mossa.
Quando arrivarono gli indonesiani, quanto durò la speranza di poter restare nel gruppo?
Poco. Intanto c’è da dire che furono anche un pizzico fortunati, visto che acquistarono la società in D e un mese dopo andammo in C. Saltando una promozione. Mi ricordo la festa con Gandler, io gli dissi che secondo me Ninni Corda poteva essere un uomo utile. Ma poi pensandoci bene, fu naturale cambiare tutto. Altri modi di operare. Io stesso a quel punto ero in più. Figurarsi, vicepresidente...
Segue ancora il Como?
Molto meno. In tv, sono contento se vince, sta scrivendo cose importanti. Ma io sono assolutamente dedicato alla mia squadra femminile, il Como Women in serie A.
Ok: allora quando Gandler le fa capire che si volta pagina, lei per ripicca compra la Como 2000.Giusto?
Ma non per ripicca. Solo che nel calcio mi ero divertito, e questa era una soluzione che avrebbe avuto un possibile sviluppo, teoricamente molto più grande rispetto a quello che avrei avuto acquistando, che so, una squadra a livello dilettantistico. E poi con un nome che avrebbe rappresentato la città.
Prima ossa, i pullman colorati.
Azzurro e fucsia, spettacolari. Li guardavano tutti.
Poi la vicenda tormentata dei debbiti lasciati da altri.
Sì, un fulmine a ciel sereno. Andai in B ma dovetti rinunciare, fare una nuova società, comprare i diritti della Riozzese. Ma ce l’ho fatta e siamo andati in A. Cambiando il nome in Como Women.
Poi anche lei ha fatto come Nicastro: un altro parallelismo con il Como, ha venduto a un potente gruppo straniero.
Avevo bisogno di qualcuno che entrasse, avevo trattato con un gruppo cinese, poi ecco Mercury 13.
Anche loro, come la società indonesiana, sembrano chiusi, in qualche modo inarrivabili.
Ma no, Victoire Cogevina e Mario Malavè sono molto aperti, molto friendly, molto appassionati. Solo che raramente sono qui.
E lei resta presidente.
Li aiuto nelle attività sul territorio.
Ma avrebbe mai immaginato di poter diventare concorrente del Como...
Concorrente?
E beh, dai... Il Como ha comprato i diritti della B perché vuole ristabilire chi è il vero Como in A. E prima siete arrivati voi.
Non la vedo così. Avere due squadre a Como in A sarebbe bellissimo. Un derby, che magìa.
Intanto potreste riuscire a fare lo stadio nuovo prima di loro, a Lazzago.
Beh, quello è frutto del fatto che farlo a bordo lago è più complicato. Se lo avessero voluto fare anche loro fuori, forse lo avrebbero già costruito, tutto più semplice. Nessuna competizione.
Lei all’inizio ha cercato di giocare al Sinigaglia.
Con Wise era più complicato. Sbaglierò, ma sono convinto che se il mio interlocutore fosse stato Suwarso dall’inizio, il Como avrebbe finito per inglobare la mia squadra. Adesso però c’è una nuova storia. Di cui siamo molto orgogliosi.
Obiettivo?
Se andassimo in Europa, avrei chiuso il cerchio. Da squadra indipendente poi. Mercury 13 sta facendo grandi cose. Adesso c’è anche un nuovo Ceo molto capace, Nicola Verdun.
La maglia bianconera, perché?
Abbiamo voluto dare una impronta nuova, per ribadire che eravamo una realtà a se stante. Ancora oggi si fa confusione su chi è chi. E poi il fatto di essere l’unica società indipendente e non affilata alla squadra maschile, ha un vantaggio curioso: i tifosi sono davvero tutti nostri, non mutuati dalla squadra maschile.
Giocare Seregno è stato un ostacolo?
No. Ci troviamo benissimo. Abbiamo creato un pubblico appassionato. Molti ci seguiranno anche qui.
Cosa c’è a casa sua della passione per il calcio?
Una collezione di maglie da gioco. Ma non ho quelle con la scritta Verga del Como. Le ho regalate tutte, accidenti a me...
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