Orrico: «La mia nuova vita: ora guido i treni e tifo per il Como»

Intervista con l’ex ciclista professionista, già campione italiano Under 23

Il gioco è facile. Dai treni per le volate in bicicletta a quelli veri, su rotaia. Da macchinista. La nuova vita di Davide Orrico, ex professionista comasco che ha corso per Team Colpack, Sangemini , Team Vorarlberg e Vini Zabù è nella cabina di un locomotore. I vagoni che traina, non sono i compagni di squadra a caccia di una volata, ma quelli dei convogli nelle tratte lombarde. A rileggere la storia, fa rabbia. Ok, forse Orrico non era Pogacar, ma avrebbe meritato qualche anno in più di carriera, nell’ultima stagione stava andando forte. Poi la squadra è saltata in aria, lui si è trovato a piedi a 32 anni. E ha pensato ad altro. «Lavoravo gia quando correvo, pensa te. In un ufficio di una azienda».

Poi i treni

Un amico comune lavorava sui treni, così ho fatto un concorso a Trenord. Senza neppure tanta convinzione, invece mi hanno preso. Pensa che sarò andato in treno due volte in tutta la mia vita. Era un mezzo che non prendevo proprio mai. E adesso ci vado tutti i giorni.

Rimpianti per la sua carriera agonistica?

Certo, dispiacere. Quando ti chiudono la squadra così, dall’oggi al domani, è brutto. In tutta onestà pensavo che avrei potuto fare qualcosa di più, avere qualche occasione ulteriore. E’ andata così.

Campione italiani Under 23.

Uno dei miei successi più importanti. Al Team Colpack, la gara era a Comonte di Seriate nel 2016. Avevo costruito tutto nel finale, prima ero scappato in compagnia di Matteo Grassi, poi da solo un affondo sull’ultimo assalto alla salita del Colle dei Pasta e la picchiata finale verso il trionfo.

Da professionista, che corridore eri?

Un passista. Gregariaccio. Sapevo fare un po’ di tutto. Mediamente.

Qualche guaio fisico.

Un problemino al cuore da ragazzino, ero al Canturino, feci un intervento. Poi un problema alla vena safena, mi dovetti operare. Due volte. Ma tutto era rientrato.

Non ti manca la bici adesso?

Un po’ sì. Il fatto è che non riesco ad andarci, difficile far quadrare tutto. Il lavoro, la famiglia, ho due bambine piccole... Per la bici ci vuole tempo, non è come per la corsetta, infili le scarpe e via. Devi vestirti, scegliere il percorso , mettere in conto due ore e passa almeno... Non facile. Ma ogni tanto ci penso, prima o poi...

E sui treni come va?

L’esperienza da atleta mi aiuta. Molti non considerano che chi fa lo sportivo ad alto livello ha una abitudine al particolare, a non lasciare nulla al caso, a curare maniacalmente tutto l’insieme, cose che, se te le porti sul lavoro, è un bene. Sono concentrato come quando correvo. Abbiamo una fermata ogni pochi chilometri, ogni operazione ha sempre delle insidie.

Mai avuto sorprese, emergenze, gente che ti ha attraversato i binari all’improvviso....

Per fortuna no. La gente che attraversa non considera che un treno ha bisogno di un km per fermarsi, mica è una macchina che inchioda...

Molti fanno ironia sui ritardi di Trenord. E tu da ciclista i ritardi non li sopportavi.

Tutti danno il massimo, le linee sono sovraffollate, a volte i ritardi sono endemici. Ma facciamo sempre tutto per evitarli.

Guardi ancora le gare in tv? Ti informi?

Come no? Sono proprio malato. Vedo tutte le tappe, se lavoro, le guardo in registrata. Leggo tutto. Amo ancora il ciclismo.

Un ciclismo di fenomeni.

Ho fatto in tempo a vederli da collega. Ho visto quando il ciclismo è cambiato. Dopo il Covid. Mi ricordo di una fuga di Evenepoel a 80 km dal traguardo, ci dicevamo “ma questo dove va?”. Invece... Partono a tutta sin dalla partenza, il livello si alzato tantissimo. Ci sono dieci fenomeni e vincono tutto. Poi ci sono quelli in mezzo che si ritagliano ogni tanto un posto al sole, e i comprimari. Andare come quelli lì, lassù, è dura.

Ci credi a un ciclismo senza doping?

Sì, perché i controlli di adesso sono così precisi che scandagliano tutto. Certo è uno sport dove devi sempre sfiorare il limite del consentito. Mi ricordo quando una buona alimentazione poteva migliorare il 2 per cento, oggi migliora lo 0.5 per cento, perché è tutto studiato nei minimi particolari, sono tutti lì al limite, le squadre devono prendere nutrizionisti, preparatori, esperti. Ma temo che un giorno possa implodere tutto.

Visto Ballerini al Tour?

Grande. È uno di quelli con cui mi allenavo. A Parigi ha fatto una grande gara. Quelle giornate in cui si allineano i pianeti. Mi ha colpito Van Aert, uno dei miei preferiti con Weelens e Van Baerle, per come pestava sui pedali. Mi è venuta la pelle d’oca.

Tu il doping lo hai conosciuto per una vicenda di un tuo compagno.

Venne preso De Bonis, della nostra squadra. Nessuno sapeva nulla. Prima che uscisse la notizia, una mattina alle 5 suona il citofono. Pensavo fosse il controllo del passaporto biologico. Normale. Arrivano a quell’ora. Invece apro e c’è un carabiniere con il mandato di perquisizione. Mia moglie era incinta, l’anno tenuta a distanza, mi hanno fatto consegnare cellulare, tablet, tutto. Poi hanno perquisito per quattro ore. Mentre mi facevano domande. Un incubo. Casa ribaltata. Ma io davvero non avevo nulla da nascondere, mai preso nulla.

E’ giusto che una squadra paghi se un suo ciclista sbaglia autonomamente?

Io lavoro per Trenord e tutti i miei comportamenti sul lavoro li tengo con quel logo sulla divisa, dunque ho la responsabilità verso l’immagine dell’azienda. Normale. Però a volte era veramente l’iniziativa del singolo a insaputa della squadra. Brutto.

Adesso ti vediamo sempre allo stadio.

Sono un tifoso sfegatato. Per la verità ci andavo già da ragazzino ero abbonato, ricordo i gol di Oliveira. Ma poi quando ho cominciato a fare sul serio con il ciclismo, alla Ambrosoli o al Canturino, la domenica era tabù. Ci sono tornato due anni fa, mi sono abbonato e adesso non mi perdo una partita. Pazzesco quello che sta succedendo.

Il tuo giocatore preferito?

Da Cunha. Come per il ciclismo, sono per i gregari, non per le stelle.

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