L’uomo d’acciaio
«il mio record
fatto in famiglia»

Gianluca Roda, pilota di auto che ha detto basta a 62 anni. «Sono l’unico a aver vinto un titolo con mio figlio»

Il gioco di parole è sin troppo scontato: Gianluca Roda, titolare della Rodacciai, uomo di acciaio. Per davvero. «Nove ernie non mi hanno fermato, e ancora oggi esco in bicicletta tre volte al giorno». Ma prima o poi doveva arrivare il giorno di dire basta. Basta con l’attività di pilotaggio, a 62 anni suonati, dopo aver corso e vinto sulle piste di tutto il mondo con le vetture GT. Così vale la pena oggi rileggere il suo libro, dopo un mondiale, una Le Mans Series, quattro secondi posti nel GT Open, un quarto posto a Le Mans e per due volte il premio della Porsche come miglior pilota della casa di Stoccarda nel mondo. E un figlio pilota da seguire.

Cominciamo dalle notizie: Gianluca Roda si ferma.

In teoria avrebbe dovuto succedere già l’anno scorso. Avevo deciso che avrei chiuso dopo il 2018, al 60 anni e al 30° anno di attività di pilotaggio, iniziata nel 1988.

Invece?

Invece l’anno scorso è arrivato a casa mio figlio Giorgio dicendo che la sua squadra cercava un terzo pilota per Sebring e Spa. E allora sono andato. Ho fatto una pole, sono andato ancora forte. E a fine stagione, sempre Giorgio mi ha invitato a condividere con lui le Olympic Games dei motori, rappresentare l’Italia a Vallelunga, io e lui in coppia su Ferrari. Come dire di no? Anche lì sono andato forte, ma ho distrutto la macchina sotto la pioggia... Capita!

Dunque, stop.

O quasi. Il fatto è che io ho corso ad alti livelli, dove c’è gente forte e sempre più giovane di me. Devi avere un approccio professionale se non vuoi fare brutte figure. Ecco, credo che quel livello adesso sia troppo impegnativo per me. Ma se doveste rivedermi in pista in qualche gara spot, non sorprendetevi. La passione resta quella.

Tristezza?

Ma no, io sono un adrenalinico. Condurre l’azienda è come guidare in corsa. Vivo di passioni. Certo, ho visto la gara di Austin in tv e mi è venuta un po’ di nostalgia. Umano, no?

Tra le soddisfazioni di una carriera, quali mettiamo in bacheca?

Partiamo con la più strana. L’altro giorno ci siamo messi a cercare su internet, io e i miei figli, e non siamo riusciti a trovare un altro caso di sportivo che è riuscito a vincere un titolo con suo figlio. Io ce l’ho fatta nel 2018, quando ho vinto il titolo Le Mans Series in macchina con Giorgio. Bello! Un record.

Poi?

Poi, potrei citare i due premi Porsche, perché sei lì sul palco con tutti che ti guardano e ti applaudono, piloti di spessore e addetti ai lavori. Una enorme soddisfazione, per un gentlemen driver come me. Perché io, tanto per essere chiari, dopo aver corso dall’altra parte del mondo, la mattina successiva ero in ufficio a lavorare. Non a riposarmi in piscina...

Delusioni?

Il quarto posto a Le Mans con la Ferrari poteva essere un podio. Di quella gara conservo, appesa in azienda, la più bella foto della mia carriera: io assorto in concentrazione durante una pausa del lavoro in pista, a causa di un incidente capitato a un altro pilota. C’era un silenzio assoluto, tutto era in sospensione. Quella foto mi vede di fronte alla bellezza e alla difficoltà di questa disciplina sportiva così affascinante.

La ciliegina?

Aver fatto Eau Rouge in pieno con la Porsche. Sapete cos’è Eau Rouge? La curva si Spa Francorschamps in compressione, a 280 all’ora. Ogni volta che la percorri, fra te e te dici: una di meno. L’ultima volta che ci ho guidato l’ho fatta in pieno. Un pallino di ogni pilota, in qualunque categoria. E sul rettilineo successivo, quello del Kemmel, ho provato una soddisfazione pazzesca.

Com’è avere due figli piloti?

Ormai uno solo. Andrea, il più grande, ha smesso. Pensare che ha ancora tutto il materiale da pilota in un borsone, vicino alla scrivania. Come se dovesse partire per una gara da un momento all’altro. Giorgio invece prosegue, ha 25 anni, ha già vinto campionati importanti tra cui quello in macchina con me. Lo seguo sempre, gli dò anche qualche consiglio.

Tipo?

Che per vincere bisogna avere fame. Me l’ha insegnato papà, che correva in motoscafo. La fame, la rabbia, la voglia sono fondamentali. Nessun talento può sopperire a questa spinta. Se manca, è finita.

La famiglia è importante per lei.

Andrea mi ha regalato un nipotino da poco, Giorgio sta per farlo. Basta che non mi chiamino nonno, che non mi si addice... Scherzo. (ride di gusto, ndr). Ma posso dire un’altra cosa

Dica.

La mia vittoria più importante è stata quella di aver gestito corse, famiglia e azienda facendo collimare tutto in maniera naturale. Una fortuna non da poco.

Qual è il pilota che più l’ha impressionata, tra i suoi compagni?

Ho corso con grandi piloti, come Tom Kristensen e Gimmi Bruni, due veri campioni. Ma i due che mi hanno più impressionato per velocità e guida sono stati Paolo Ruberti e il comasco Matteo Cairoli. Matteo è impressionante, ha un talento naturale pazzesco.

Cosa si ricorda degli inizi da navigatore rally? Pigoli-Roda è uno scioglilingua immortale per gli appassionati?

È stato un bel periodo. Eravamo forti. Massimo ci sapeva fare e io già sognavo di fare il pilota e dunque ragionavo con la testa del driver. Sarà per questo che sono andato forte anche nei rally storici. Anzi: non è escluso che possa riprovare con quelle gare. Ma non ditelo a mia moglie.

Lei ha una macchina nella hall della sua azienda...

Accanto al motoscafo di papà, una Porsche del 2009. Mamma mia, se la confronto a quelle di oggi mi pare una carrozza con i cavalli.

Prossimo traguardo?

Gestire il problema del Coronavirus che sta provocando problemi alle aziende. Ci sono fornitori dall’estero che si rifiutano di venire a scaricare il materiale in Italia, non so se mi spiego. Bisogna avere sangue freddo. Come in macchina...

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