«Riparto dal basso. Ma non escludo di poter tornare»

Crimella, presidente dell’Alba Volley: «Impossibile continuare da solo con una squadra al livello di A2 o B»

Cinquantun’anni per dire basta. O quasi. O forse. Pensatela come volete, ma Graziano Crimella è l’Alba Volley. Albese con Cassano o Como che sia poco conta. Perché questo è il racconto di un uomo, anzi di una famiglia e la moglie Giusy è lì a testimoniarlo, che ha speso la vita sportiva per una sola società.

Siamo andati a Lomazzo, in via del Lavoro, nella sede della Tecnoteam (vi dice qualcosa?) a farcela raccontare. E le sorprese non sono mancate.

Presidente, ci racconta la sua avventura nella pallavolo?

E perchè?

Pare affascinante...

Se lo dite voi.

Ce lo dica lei.

Di certo un viaggio bellissimo. Comincia nel 1974, ad Albese non c’era nulla. Nemmeno la palestra. Con alcuni amici decidiamo di mettere in piedi una squadretta femminile. Non facile, anche perché toccava fare i conti con i problemi del tempo, tra dottrina in oratorio e altro.

E perché non avevate il campo...

Giocavamo ad Albavilla, dai Padri betharramiti, in un posto quasi sottoterra, dove non c’era niente. Ma è stato un bell’inizio, anche grazie alle squadre poi assorbite proprio lì e ad Erba.

L’Albese che sarà, dunque, prendeva corpo fuori dal paese.

Fino al 1982, quando arrivò la palestra. Divento presidente, anche se gli impegni di lavoro mi fanno esserci un po’ sì e un po’ no. Andiamo avanti stancamente, vivacchiando tra Prima e Seconda divisione.

Fino a quando?

Al 2000, quando viene a mancare - letteralmente dalla sera alla mattina - la persona che fin lì si era più spesa per la società, ovvero Vittorio Cantaluppi, stroncato da un infarto il 31 marzo. Io perdo un fratello, uno che, magari senza preavviso, capitava che arrivasse da noi, a trovarci per cena.

E quindi?

Fu un anno difficile, potete comprendere. Ma almeno ci salvammo in Seconda divisione. Era arrivato il momento di decidere che fare. La prima alla quale lo chiesi era mia moglie.

Con che esito?

“Devi andare avanti, almeno un’altra stagione. Lo devi soprattutto alla memoria di Vittorio”, mi disse. E così fu.

In che modo?

Giusy mi convince. Ma io sono fatto un po’ così e decido che le cose vanno fatte per bene. Rifondo la squadra, cominciando dall’allenatore: Stefano Zanetti. Poi faccio rientrare alla base tutte quelle giocatrici che erano andate a giocare nelle categorie superiori. Sono tre o quattro, ma abbastanza per fare la differenza. Me ne dicono di tutti colori, loro che erano a un livello più alto e devono... scendere.

E che succede?

Che il primo anno vinciamo e siamo promossi senza nemmeno perdere un set, forse. E che vinciamo anche nel giro successivo. Comincia la nostra storia: arriviamo in C e io cambio allenatore.

Basta e avanza?

Eccome. Nel 2010 giochiamo la B2, arriviamo allo spareggio con Pinerolo, dopo l’1-1 di andata e ritorno. Perdiamo in casa. Ci tocca un altro anno in categoria, ma con la consapevolezza e la voglia di allestire una squadra per vincere e salire. A metà luglio mi chiama la Federazione. Ci avevano ripescato.

Chissà che festa...

Altroché. Anche perché il primo anno gira tutto a meraviglia e arriviamo fino ai playoff per salire in A2. Vinciamo con Parma e perdiamo con Vicenza.

Bei ricordi?

Sicuro. Poi arriva il Covid. Un anno ci fermiamo a stagione in corsa, nel successivo arriviamo in A2 dopo la finale con Lecco.

La piccola Albese nel paradiso della pallavolo che conta...

E anche stavolta si parte bene, con Cristiano Mucciolo di nuovo in panchina e un campionato di alto livello.

Che però non resta.

Vero.

E dunque.

Il secondo anno ci affidiamo a Mauro Chiappafreddo. Prima stagione meno bene di sicuro dal punto di vista dei risultati, ma la seconda è eccezionale e arriviamo quasi alla finale per la serie A1.

Il giusto abbrivio, insomma, per pensare all’inizio di un’avventura sempre più esaltante.

Sulla carta.

Come sulla carta?

Perché sapete tutti come andrà a finire.

Quanto la feriamo se le chiediamo di dirlo anche ai lettori?

Tanto, ovviamente.

Però le tocca...

Scelte di mercato un po’ così, un anno brutto, nonostante la bella squadra allestita. E la retrocessione.

Incredibile, tra l’altro. Una prima fase chiusa a un nulla dalla poule promozione e poi la luce che si spegne, di colpo, in quella per la salvezza. Cosa è successo?

Come si fa a dirlo. Un concorso di colpe, nessuno escluso. Io per primo, che non sono riuscito - per mille motivi - a stare vicino al gruppo.

Ha pesato?

Con il sennò di poi, penso proprio di sì.

Ed eccoci arrivati ai giorni nostri, o giù di lì. Lei che fa?

Dormo poco, molto poco, per due settimane. E mi interrogo sul da farsi, conscio del fatto che da solo è impossibile andare avanti e che la situazione creata era sempre più difficile da gestire. Pensate solo alla situazione dei campi: tre le palestre sulle quali spalmare l’attività - Albese, Inverigo e Casnate - con tutte le situazioni conseguenti da gestire.

Tipo?

Solo alla logistica. Per avere tutto da tutte le parti, avrò avuto in giro cento palloni, tre reti e materiale a non finire.

Allora cosa succede?

Succede che convoco un incontro pubblico a Tavernerio e annuncio che lascio, disposto anche a regalare il titolo sportivo, se qualcuno si facesse avanti.

Perché?

Conta anche l’aspetto economico, non lo nego. Busso a Confindustria, chiamo a raccolta i miei sponsor, ma niente.

Decisione irrevocabile?

Smetto. Per ora. Ma mi tengo aperto una porta. Per ora. In due settimane di riflessione, cancellare un’intera vista sportiva non è stato facile. Ma ormai era diventata un’azienda nella quale ci si divertiva poco. Adesso ci concentriamo sul minivolley, ripartiamo dalle nostre bimbe. Poi vorrei o potrei anche ripartire, facendo qualcosa per il movimento giovanile.

Di senior non se ne parla?

Adesso sto bene, se mi mancasse la pallavolo, però...

Reazioni e feedback?

Tutta la gente che ci vuole bene l’ha capita. Ma ci sono quei volontari, fondamentali per noi, che li vedo un po’ persi. E mi fanno pensare.

Ce lo dica una volta per tutte: non fosse retrocesso, cosa avrebbe fatto?

Di riffa e di raffa probabilmente sarei andato avanti. Cercando di contenere i costi ed evitare il bagno di sangue.

Se le chiedessimo: alle giocatrici ci si affeziona, che risponderebbe?

Di sì.

E se le chiedessimo se è un bene o un male?

Un limite. Io sono un po’ romantico e questo fatto mi ha condizionato. Di certo le decisioni migliori sono state quelle di pancia.

Quando ha contato sua moglie in tutta questa storia?

Fondamentale. Mi ha sempre sostenuto e spronato. Capendo ogni mia decisione, anche l’ultima. Per la società una figura imprescindibile, dal lato amministrativo e da quello organizzativo.

Cinque nomi, oltre alla moglie, che hanno caratterizzato la storia.

Di Vittorio Cantaluppi vi ho già detto. Poi la giocatrice che più mi porto nel cuore è Lisa Picozzi. Quindi Paola Roncareggi, Cecilia Nicolini e Martina Veneriano.

Cosa farà nelle domeniche da autunno in avanti?

Andrò a vedere l’Inter.

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