(ANSA) - ROMA, 26 NOV - In caso di nuovi impianti, solo nel 2050 il nucleare occuperebbe un ruolo significativo nella politica energetica del Paese. E' la conclusione alla quale arriva uno studio dell'Energy&Strategy della Polimi School of Management che sottolinea come per per la prima centrale occorrono almeno 10 anni e secondo le proiezioni solo dal 2040 il contributo del nucleare inizierebbe ad avere qualche rilevanza nel mix energetico nazionale, con una produzione stimata di 13 TWh. Per il Pniec, l'obiettivo è arrivare nel 2050 a 8 GW di capacità nucleare installata (64 TWh). Lo studio rileva come con il riemergere del dibattito sul nucleare quale possibile leva per favorire decarbonizzazione, sicurezza negli approvvigionamenti e competitività industriale, l'Italia stia vivendo un momento decisivo per la sua strategia energetica. Tuttavia la prospettiva a cui guardare rimane il 2050.
"Nel 2050 - spiega Vittorio Chiesa, responsabile dello studio e direttore di Energy&Strategy - il nucleare potrebbe sia coprire una piccola parte di produzione oggi appannaggio delle rinnovabili, sia sostituire per la loro quota il termoelettrico e l'import, sostanzialmente azzerandoli".
"Naturalmente questo non vale solo per l'Italia - conclude Chiesa -: nel mondo, al 2050, la previsione di nuova capacità installata per il nucleare oscilla tra +74%, negli scenari conservativi, fino a +157%. Oggi sono oltre 400 le centrali nucleari attive, cui se ne aggiungono più di 50 in costruzione, tipicamente reattori tradizionali, con un ruolo particolarmente rilevante della Cina". Crediamo dunque che una quota di nucleare potrebbe contribuire fattivamente alla decarbonizzazione del nostro Paese al 2050. Il percorso resta però sfidante: sarà fondamentale intervenire rapidamente su normativa, governance, autorizzazioni e sviluppo della supply chain per non perdere la finestra industriale che le tecnologie abilitanti potrebbero aprire nei prossimi anni". (ANSA).
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