Vent’anni dall’omicidio di Teresa Lanfranconi. Parla per la prima volta il papà: «È come se fosse successo oggi»

Il dolore che non passa Giuseppe Lanfranconi rompe il silenzio dopo l’omicidio della figlia, appena sedicenne: «Sentimenti di vendetta? Nulla può riportare mia figlia tra noi, non cambia il corso degli eventi»

«Per me è come se fosse successo oggi».

Silenzio, tempo e rispetto. Il dolore ha bisogno di questo per essere assorbito, non senza contraccolpi, nella quotidianità. È la prima volta che Giuseppe Lanfranconi decide di rompere il suo di silenzio e di provare a raccontare, provare a condividere una parte di quel dolore che vive in lui. Sono passati vent’anni da quando sua figlia è scomparsa. In un pomeriggio di mezza estate, Teresa Lanfranconi è stata uccisa. Senza ragione. Senza colpa. Senza aver compiuto 17 anni.

Sopravvivere ai propri figli è una sofferenza troppo grande per essere compresa e combattuta. Conviverci. Non c’è alternativa. E non serve essere genitori per rendersene conto. Basta affacciarsi negli occhi di Giuseppe Lanfranconi per sentire la vertigine del dolore che racchiudono. Occhi che si riempiono di lacrime. Occhi che rincorrono mani che si stringono tra loro tremanti. Occhi blu, come quelli di Teresa.

«Teresa era curiosa e vitale»

«Ho tanti ricordi di mia figlia, tutti bellissimi. Ricordo il suo sorriso al ritorno da una gita a Barcellona. Era curiosa e vitale. Era una ragazza felice e socievole. Le piacevano molto il lago e il mare». Questo ricordiamo delle persone che non ci sono più, un’espressione del viso, una risata, un momento leggero e casuale nella grammatica dei giorni che compongono una vita. Immagini semplici, fotografie impresse nella memoria.

Il pomeriggio del 18 giugno 2003, Teresa stava tornando a casa percorrendo via dei Vivai a Mariano Comense, Giovanni Gambino pose fine alla sua vita con tre coltellate al collo, di cui una letale. Nessuno saprà mai come andarono esattamente i fatti. «Per me non è cambiato niente, è come se fosse successo oggi. Mi trovo nella stessa situazione di impotenza di allora, non posso fare nulla per cambiare le cose, posso solo cercare di accettare quello che è accaduto». Nel dolore il tempo è relativo. I giorni sul calendario scorrono, ma il tempo di Giuseppe è fermo a quel momento di vent’anni fa.

La testimonianza del papà a vent’anni dall’omicidio: «Devo cercare di accettare»

I sospetti iniziali si concentrarono, come accade in questi casi, sulle persone più vicine alla vittima. La prima indagine aperta fu quella che riguardava il ragazzo di Teresa: «Non ho mai pensato potesse essere stato Fabio, ero convinto fin da subito che non c’entrasse nulla. Ancora oggi mi spiace tanto per quello che ha passato. Le forze dell’ordine hanno dovuto indagare anche su di lui, non esclusero nulla».

Giovanni Gambino, dopo aver ucciso Teresa, si portò via la sua borsa e il suo telefono che tenne acceso per qualche giorno. L’unico aggancio per trovarlo, era fondamentale per poter capire dove si fosse nascosto. «Ricordo ogni istante. Ricordo tutto. Ricordo le chiamate al suo cellulare. Non so nemmeno quante volte ho composto quel numero. Nessuna risposta. Mai. Gli scrissi un messaggio: “Vieni domenica al lago”. Rispose “No”. Questo rese possibile localizzare il telefono di mia figlia e quindi lui, alla stazione centrale di Milano».

L’arresto rocambolesco avvenne nel parco divertimenti di Gardaland, Gambino era appena sceso dalle montagne russe. Seguì il processo e la sentenza: colpevole, assassinio aggravato dalla tentata violenza sessuale. La condanna: 17 anni e otto mesi di carcere. Ne scontò qualcuno per poi essere trasferito all’ospedale giudiziario di Castiglione delle Stiviere.

«Niente può riportare Teresa tra noi. Qualsiasi cosa avessi fatto all’epoca e qualsiasi cosa decidessi di fare oggi, non cambierebbe il corso degli eventi». Giuseppe si riferisce al sentimento di vendetta che lo ha sfiorato, ma che avrebbe solo finito per peggiorare la situazione e per gravare ulteriormente su una famiglia già colpita da un’immensa tragedia.

Le parole, le proprie, non sono sufficienti per spiegare una perdita così grande. Le parole, quelle degli altri, invece di sollevare l’animo, si sollevano spesso come un confuso sciame di moscerini. Fastidioso. Inutile. Il silenzio in segno di rispetto è il miglior messaggio che una persona che ha subito un lutto così pesante vorrebbe ricevere dagli altri. «La mia vita è andata avanti, sì è vero, io ho perso una figlia. Ma a Teresa è stato tolto tutto. C’è una grande differenza... Non c’è niente che io possa fare per ridarle il suo sorriso».

Teresa da vent’anni non c’è più. «Ricordarla è l’unica cosa che posso fare. Che tutte le persone che le hanno voluto bene possono fare. Mi fa molto piacere che vengano organizzate iniziative per ricordarla, ringrazio tutti quelli che si stanno impegnando per mantenere viva la sua memoria». Il Comitato «Gli occhi blu di Teresa» ha ideato quest’anno, in occasione del ventennale dalla sua morte, una serie di attività per non dimenticare la giovane scomparsa.

Da Tremezzo al cimitero

Ogni settimana, quattro volte al mese, dodici mesi l’anno, da vent’anni, Giuseppe Lanfranconi non perde un appuntamento. Prende l’auto e da Tremezzo, dove vive, raggiunge il cimitero di Mariano per portare un saluto a Teresa. Il sorriso di un padre a quegli occhi blu che si sono spenti. Occhi blu, uguali ai suoi.

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