Era l’obiettivo della spedizione punitiva. Ragazzo fa denuncia spinto dalla mamma

Figino Serenza A metà aprile il raid notturno di quattro minori in via Crocifisso per picchiarlo. Il “branco” aveva rotto un braccio all’amico che lo difendeva. La donna: «I bulli vanno fermati»

Figino Serenza

In famiglia non racconta nulla della spedizione punitiva del branco, anzi inventa una caduta accidentale dell’amico, la madre scopre la verità leggendo il nostro giornale e lo accompagna dai carabinieri a sporgere denuncia.

«Perché i bulli vanno fermati». Sono le parole della mamma del minorenne, aggredito nella notte tra gli scorsi sabato 12 e domenica 13 aprile nella centralissima via Crocifisso. Alle 3 del mattino il figlio era stato circondato da quattro coetanei, uno avrebbe persino impugnato una spranga.

Fortunatamente non era solo, c’era un amico ventenne che ha cercato di difenderlo, ma ha avuto la peggio riportando la frattura dell’avambraccio sinistro per le botte e le percosse incassate. Nei giorni a seguire il ventenne si era raccontato al nostro giornale.

«Hanno minacciato di “bucarlo”»

Sono stati proprio l’articolo da noi pubblicato, insieme alla foto dell’avambraccio ingessato, a far capire ai familiari del minorenne che era lui la vittima della spedizione punitiva. La madre racconta. «Mio figlio aveva paura che scoprissi la verità, così si è inventato che l’amico si era rotto il braccio cadendo dalla macchina». Quando la mamma ha letto la notizia, ha capito che erano solo bugie. «Si era persino inventato di essersi provocato da solo con un graffio l’escoriazione sotto un occhio».

In realtà nella notte tra il 12 e 13 aprile scorso era stato circondato da quattro coetanei, gli avevano dato appuntamento dopo uno scambio infuocato di messaggi e audio via Whatsapp. Il motivo? Una ragazza contesa. La madre prosegue. «Uno l’ha persino minacciato di presentarsi con un coltello per “bucarlo”».

«Meno male che c’era lui»

Fortunatamente le cose non sono degenerate sino a questo punto, ma un ventenne è comunque finito all’ospedale con un braccio rotto. «Meno male che c’era lui, se no a quest’ora forse mio figlio si sarebbe preso una sprangata sulla testa e adesso sarei qui a raccontare una storia diversa: a piangerlo. Purtroppo di discussioni che finiscono male se ne leggono tutti i giorni sui giornali». Giovanissimi, molti minorenni, presi a calci, pugni, feriti o persino uccisi con un’arma per una parola di troppo, un amore conteso, una manovra azzardata in auto o in motorino.

La donna spiega. «Quando ho compreso quello che era accaduto, ho detto subito a mio figlio di non preoccuparsi, di non avere paura, di denunciare. I bulli vanno fermati». Non ha remore a affermare che diverbi tra ragazzi possano anche accadere, magari si può persino arrivare alle mani. Il problema è un altro. «I giovani oggi camminano in branco, minacciano, organizzano spedizioni punitive: questa cosa fa paura».

«Lo scambio di messaggi e poi...»

La notte dell’aggressione suo figlio non è riuscita a fermarlo. «Era a casa dell’amico ventenne a giocare con i videogiochi, poi è iniziato lo scambio di messaggi e la richiesta di un incontro in via Crocifisso». Nessuno quella notte ha sentito nulla, seppur i ragazzi si siano affrontati in pieno centro paese. «Mio figlio mi ha raccontato che l’ambulanza è arrivata a sirene spente».

Sono sopraggiunti anche i carabinieri, ma ormai il branco si era dileguato, era rimasto soltanto il ragazzino che assisteva l’amico ventenne mentre veniva caricato sull’ambulanza.

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