«Favori al boss», Forcella condannato

Cantù La Corte d’Appello riconosce colpevole l’ex maresciallo dei Carabinieri: sette anni e tre mesi. I fatti risalgono al 2007

Cantù

L’ex maresciallo dei Carabinieri di Cantù, nonché ex consigliere comunale della città, Carmine Forcella, è stato condannato a 7 anni e 3 mesi di reclusione per associazione per delinquere (senza l’aggravante mafiosa) e concorso in falsa testimonianza. Una sentenza letta nell’ambito di un processo interminabile e di un’indagine ancor più lunga e tormentata, e che appare quasi un fulmine a ciel sereno se si pensa che lo stesso procuratore generale, ovvero l’accusa nel processo d’appello, aveva chiesto l’assoluzione.

L’accusa

A costare la seconda condanna nel merito a Forcella, dopo il primo grado in Tribunale a Palmi, sono state le lettere sequestrate nel 2007 dalla Polizia di Palmi a casa dell’ex maresciallo dei Carabinieri. Lettere che testimoniavano una fitta corrispondenza tra lo stesso Forcella e Saverio Rocco Santaiti, a capo dell’omonimo clan della ’ndrangheta. Santaiti è stato condannato a oltre 17 anni di carcere, dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Due i capi d’accusa a carico di Forcella. Il primo e più grave, quello di associazione per delinquere (non mafiosa) insieme ai componenti della famiglia mafiosa dei Santaiti. Secondo la Procura distrettuale antimafia l’ex carabiniere avrebbe fornito «un costante contributo» ai sodali del clan «prodigandosi incessantemente per migliorare la situazione processuale dei sodali sottoposti a procedimenti penali o in esecuzione di pena detentiva, tramite anche lo sfruttamento di una capillare rete di appoggi e connivenze nel mondo politico e giudiziario, nonché mettendosi a completa disposizione dei sodali e, in particolare, di Saverio Rocco Santaiti e Francesco Ottinà per soddisfare ogni loro necessità». Il secondo: concorso in falsa testimonianza. Perché «predisponeva, su incarico di Saverio Rocco Santaiti, lo schema di domande che i legali avrebbero dovuto rivolgere a Gaetano Giuseppe Santaiti nel corso della sua deposizione del 6 febbraio 2007». E ancora perché «si metteva in contatto con Graziella Santaiti, la quale gli riferiva le “ambasciate” del fratello Saverio». Per queste accuse nel 2019 la Procura chiese addirittura l’arresto di Forcella, negato dal gip ma concesso dal Tribunale del riesame. Salvo l’intervento successivo della Corte di Cassazione che ha sancito la nullità del provvedimento, perché per quegli stessi reati il giudice aveva archiviato le accuse a carico dell’ex carabiniere già nel 2012 e nessuno aveva riaperto formalmente il fascicolo d’indagini.

Il difensore di Forcella, l’avvocato Raffaele Bacchetta, aveva sollecitato l’assoluzione sostenendo innanzitutto quello che aveva già avuto modo di sottolineare la Cassazione, quindi che in base agli elementi dell’accusa l’ex consigliere comunale canturino «parrebbe partecipe a un’associazione per corrispondenza», visto che la contestazione si basa esclusivamente sulle lettere scambiate tra lo stesso e il boss quando quest’ultimo era in carcere.

La difesa

In realtà la difesa ha sottolineato come «dalla lettura della corrispondenza emerge come» Forcella «si avvicini al Santaiti con una lettera anonima per informarlo della sua relazione clandestina con» una parente degli Ottinà «alla quale il Santaiti, aveva più volte dichiarato il suo amore. Dalla lettura della documentazione emerge come la principale preoccupazione del Forcella sia stata quella di evitare ripercussioni da parte della famiglia Ottinà» nei confronti della parente «per avere una relazione con un ex carabiniere. Dalla prima lettera in poi, emerge un contatto epistolare tra Santaiti ed il Forcella, da cui non si trae alcun elemento di riscontro alla partecipazione all’associazione da parte di quest’ultimo».

Scambio epistolare che si è trasformato in un libro, scritto proprio da Forcella: “Volevo una vita diversa. Racconti calabresi, di carcere e di ’ndrangheta”. Dalle librerie alle aule di Tribunale.

«Voglio vedere le motivazioni di questa sentenza di Appello: in sede di requisitoria, il sostituto procuratore generale ha chiesto la mia assoluzione, tant’è che mi sono avvicinato per stringergli la mano, ringraziandolo del fatto che lui in quel momento mi aveva restituito trent’anni di dignità. Ora (la sentenza di primo grado, ndr) l’hanno confermata, ma sulla base di che cosa, io non lo so». Così Carmine Forcella, raggiunto ieri da La Provincia per un commento. Sarà necessario aspettare, ricorda Forcella, 90 giorni per apprendere le motivazioni, quindi ci saranno 45 giorni per il ricorso in Cassazione. «Ricorso che certamente presenteremo», dice.

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