«O cristiani o di Salvini»
Don Alberto a processo

Mariano: il leader leghista lo querelò per diffamazione Ora rilancia: «Pace fatta se dà mille euro in beneficenza»

Dovrà rispondere della sua omelia, oltre che a Dio, anche al giudice di pace di Como. Almeno così oggi si deciderà sul piano terreno della frase «O siete di cristiani o siete di Salvini» pronunciata da don Alberto Vigorelli in una messa domenicale del 2016 sotto il campanile di Santo Stefano a Mariano.

A distanza di quattro anni, il sacerdote, 80 anni, trenta dei quali passati in missione tra l’Africa e il Perù, gli ultimi quattordici nel comune brianzolo, questa mattina comparirà nell’aula di viale Innocenzo perché citato dal leader della Lega, Matteo Salvini, per diffamazione.

Vigorelli: «Non me l’aspettavo»

«Preferisco non parlare prima dell’esito dell’udienza, come mi ha consigliato il mio legale, ma certo - ha commentato ieri don Alberto - non mi aspettavo questo risvolto» . Difeso dall’avvocato Oreste Dominioni del Foro di Milano, il prete non nasconde una nota di amarezza e di dispiacere per essersi ritrovato a muovere tra gli incartamenti della giurisprudenza, chiamato in causa da chi ha giurato su quello stesso Vangelo sotto la Madonnina di Milano che, invece di unire, ha diviso.

Perché la predica dell’ex missionario era nata proprio dalla lettura del Vangelo di Matteo. «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto» si legge nel passo de “Il giudizio finale” del Nuovo Testamento, allora ricordato in occasione della Solennità del Cristo Re dell’Universo.

Da qui la frase mal digerita dalla Lega che per voce del segretario della sezione locale, Alessandro Turati, aveva rilanciato le parole in una lettera aperta, salvo poi smarcarsi dalle posizioni prese dei vertici del suo stesso partito. Prima la scelta dell’ex Ministro dell’Interno, allora segretario federale, Salvini di scrivere al cardinale Angelo Scola per chiedere che «sia posto un argine alle intemperanze di don Vigorelli, sia attraverso una pubblica e chiara presa di distanze, sia allontanandolo dall’incarico di coadiutore parrocchiale a Mariano, del quale ha malamente abusato».

All’escalation di reazioni leghiste era seguita anche una presa di posizione della Diocesi di Milano, affidata al vicario episcopale Patrizio Garascia: «Nessuno può essere escluso dalla possibilità di seguire Gesù. Il suo Vangelo non può essere usato contro qualcuno perché è Parola per tutti, è appello a ciascuno per la conversione, è possibilità di salvezza offerta ad ogni uomo. Una espressione come quella usata da don Alberto è quindi sbagliata».

Ieri tweet e post di Salvini

Due anni dopo il fatto, l’atto distensivo di Salvini pronto a ritirare la querela se il prete si fosse scusato. Ancora ieri il leader leghista è tornato alla carica, con un post su Facebook e su Twitter: «Disse durante la Messa che un cristiano non può essere della Lega, non ho parole... Se questo prete, che mi odia, chiederà scusa e devolverà 1.000 euro a una Onlus che si occupa di disabili, pace fatta e amici come prima».

Ma le scuse non sono mai arrivate, né prima, né ieri, così l’epilogo della vicenda sarà scritto in tribunale dopo che il giudice di pace ha respinto la richiesta di archiviazione a carico del sacerdote avanzata dal pubblico ministero Massimo Astori, secondo il quale l’affermazione non era diffamatoria. Infondata per la Procura, la denuncia è stata accolta dal giudice di pace secondo cui l’affermazione sarebbe potenzialmente diffamatoria perché pronunciata durante la messa. n 
Silvia RIgamonti

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